di Mimmo Arezzo
Il fermento sui fondamenti della Matematica, di cui abbiamo parlato la volta scorsa, riferendoci alla definizione dei numeri naturali, partiva da questo ragionamento. Tutti i numeri, anche quelli decimali illimitati e non periodici, sono significativi: già a Pitagora si può far risalire il fatto che la lunghezza della diagonale del quadrato di lato 1 è proprio un numero di quel tipo.

Quindi non possiamo dire: “Questi numeri li lasciamo agli specialisti”, perché invece servono a tutti (si chiamano numeri irrazionali e sono quindi, ricordiamolo, i numeri decimali illimitati non periodici). Possiamo vedere questi numeri come limiti di processi di approssimazione mediante numeri decimali limitati, quindi se capiamo che cosa sono questi, ci facciamo un’idea anche di che cosa sono quelli.
E qui c’è da dire una cosa abbastanza delicata; infatti la divisione fra numeri naturali contiene una insidia, con la quale tutti abbiamo prima o poi fatto i conti: una divisione fra numeri naturali può non finire mai, come nel caso 1:3.

Queste divisioni danno luogo a numeri periodici e quindi, se definiamo numeri razionali i risultati delle divisioni fra numeri naturali, dobbiamo includere in essi i numeri decimali limitati e quelli periodici.
Così, l’aggettivo razionali non è da mettere in relazione con la parola “ragione”, il che li farebbe apparire “ragionevoli”, ma con la parola latina “ratio”, che significa “rapporto”, perché essi esprimono sempre il rapporto fra due numeri interi.
Allora, se capiamo bene che cosa sono i numeri naturali, sappiamo anche che cosa sono i numeri razionali: i risultati delle divisioni fra numeri naturali; e capiamo anche che cosa sono i numeri irrazionali: i risultati dei processi di approssimazione mediante numeri razionali. Ecco perché era così importante arrivare a una definizione semanticamente corretta di numero naturale, ed ecco che cosa c’era dietro alla disputa fra Peano e Frege.

Lo studio di queste cose ebbe un notevole seguito in tutta la prima parte del secolo scorso. Perché ragionando intorno a queste cose si era insinuata l’illusione che potesse esistere un sistema di assiomi per il quale una affermazione fosse necessariamente o vera o falsa, per il quale non esistessero, come si disse, proposizioni indecidibili. È ovvio che c’era in ballo il principio aristotelico del terzo escluso, per il quale una proposizione è vera o falsa, “tertium non datur”, dicevano i latini.
Ebbene, nel 1941, un logico matematico cecoslovacco, Kurt Gödel (1906-1978), che concluse poi la sua carriera all’Institute for the Advanced Studies di Princeton, dove già stava Einstein (1879-1955), di cui era grande amico, dimostrò che ogni sistema di assiomi ammette sempre proposizioni indecidibili (Teorema di incompletezza).

La deduzione per noi poveri mortali è la seguente: in qualunque sistema di assiomi si ragioni non è affatto detto che una affermazione sia vera o falsa; potrebbe essere infatti essere indecidibile.
Non può sfuggire ad alcuno la portata di questo fatto, purtroppo da molti interpretata in termini un po’ grossolani, ma per certi versi bellissimi: non ci sono soltanto il bianco e il nero, il vero e il falso… su ogni argomento la verità è sfaccettata, interpretabile, quando non addirittura “malleabile”. Con tutte le degenerazioni del caso.
Tutti sappiamo l’uso che è stato fatto dell’espressione einsteiniana “Tutto è relativo”, usata spesso per distruggere faticose e complesse argomentazioni con una frase “piena di niente”, producendo reazioni della stessa rilevanza logica, totalmente nulla: “La matematica non è un’opinione”. “Discorsi”, diceva Gilberto Govi, “da farsi in tre e due andarsene”.
Una curiosità interessante è data dal fatto che Kurt Gödel diede anche anche una dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio. Egli non pubblicò mai questa dimostrazione, per la preoccupazione che essa potesse essere interpretata come dettata dal misticismo e non dal rigore logico.