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La rubrica “Architetti e architetture”, del nostro Pippo Inghilterra, è arrivata al suo ultimo appuntamento tra le bellezze e le curiosità della città di Comiso. Riprenderemo presto un altro “viaggio” alla riscoperta di altre magnificenze e singolarità del nostro territorio.

di Pippo Inghilterra

Fu una grande festa quando, dalle cave di Comiso, trasportarono “per le vie del paese, fra due ali di popolo, come un santo sulla vara” i massi di pietra per scolpirvi la statua di Diana.

Il Cav. Domenico Umberto Diano, che subentrò nel 1928 a Giacomo Cusumano (primo direttore della Real Scuola d’Arte di Comiso, architetto allievo di Ernesto Basile), fu lo scultore che progettò e modellò la statua di Diana cacciatrice, posta ancor oggi sulla fontana della piazza principale.

La statua fu il frutto della collaborazione tra i “mastri” d’arte e allievi della Scuola d’Arte. La sua storia viene raccontata dai ricordi di alcuni e dai documenti depositati negli archivi. Il prof. Giuseppe Barone (un omino silenzioso, sempre col cappotto, che attraversava solitario la piazza) mi parlava di un modello in creta di Diana che aiutò a plasmare, quand’era ancora ragazzo.

Narciso, un ex scalpellino, mi fece i nomi di altri due compagni che sbozzarono i tre massi di pietra di cui era composta la statua. Mi raccontava che l’opera era stata modellata in una “carretteria” vicino al Castello medievale di Comiso e che la modella era una bella ragazza di Caltagirone, “discinta nei costumi”…

La statua venne collocata sopra la fontana a metà degli anni trenta del Novecento quando, forse, si aspettava in città la visita del Re. La poetessa Adalgisa Li Calzi (figlia di “Don Laurienzu”, proprietario di cava), quando l’andai a trovare, mi raccontò che ancora bambina suo padre la portò in Piazza Fonte Diana per assistere (seduta sulle impalcature del costruendo Palazzo del Banco di Sicilia) al passaggio dell’illustre ospite. Si ricordava benissimo che la statua di Diana c’era già e faceva bella vista in mezzo alla gente che gremiva la piazza.

Foto banner e social di Clemensfranz da Wikipedia

La poetessa Adalgisa Li Calzi

di Pippo Inghilterra

I palazzi della piazze, come facce della memoria, sembrano raccontare tante storie. Storie di angherie, di clausura, di sofferenza, di povertà, di libertà, di speculazione e perfino di opera dei pupi. Tra i tanti racconti del passato, tre storie ci parlano del Palazzo Iacono-Ciarcià in Piazza Fonte Diana a Comiso.

Palazzo Iacono-Ciarcià a Comiso (XVIII sec.)

Il Palazzo Iacono-Ciarcià con la sua struttura particolare d’angolo e la loggetta (“l’archi ri Ronna Pippa”, dal nome della gentildonna Filippa Ciarcià), rimane uno dei meravigliosi fondali della scena teatrale della “platea fontis”. La loggetta, compenetrazione tra spazio esterno e spazio interno (la piazza entra nel palazzo attraverso la mediazione del portico), è ancora oggi uno dei monumenti architettonici più interessanti dello spazio barocco della piazza. Più d’uno studioso e appassionato d’arte lo ha attribuito all’architetto Rosario Gagliardi, ma senza il conforto di una prova.

La loggetta de palazzo, chiamata dai comisani “l’archi ri Ronna Pippa”

Il primo fatto di cronaca, che conosciamo, risale alla costruzione del palazzo (1756-57), quando la Badessa del limitrofo Monastero delle Teresiane Scalze si oppose all’apertura di una finestra del palazzo. Probabilmente era un conflitto causato dall’inopportunità della finestra che permetteva di guardare dentro il luogo sacro del convento di clausura. In particolare dove le monache avevano un ampio orto.

Capitello del portico del Palazzo Iacono con lo sfondo della cupola della Matrice

Il secondo fatto, riguarda l’abuso del portico. Tutto iniziò con una denuncia “del primo febbraro 1884” per abuso edilizio ed occupazione di suolo pubblico. Ci furono sopralluoghi da parte dall’ingegnere comunale Giovanni Galeoto e controperizie di parte dell’architetto Eugenio Andruzzi di Vittoria. Una parte affermava che il portico è “una enorme difformità”, l´altra che il portico “forma il più bello e magnifico ornato della Piazza Pubblica”.

Il proprietario del palazzo, Don Carmelo Ciarcià, fece ricorso al Sottoprefetto del Circondario di Modica. E tutto finì, quando il Prefetto di Siracusa, il 29 luglio 1885, decretò di accogliere il ricorso del Barone Carmelo Ciarcià, ponendo fine alla controversia dal forte sapore politico.
L’altra sera, passando vicino al palazzo, mi è parso di cogliere sulla facciata un sottile sorriso ironico, quasi beffardo, come quello “dell’ignoto marinaio” del quadro di Antonello da Messina.

“Ritratto d’ignoto marinaio”. Antonello da Messina (XV sec.)

Infine l’ultimo fatto riguarda una scena teatrale dove il protagonista è “Lici u filoci”. Era un uomo “irsuto, immane, con aria da Polifemo o da Orlando il furioso” e abitava in un dammuso di Palazzo Iacono-Ciarcià. Una volta “d’inverno, per scaldarsi, bruciava frasche e giornali, senza badare al fumo, al fuoco, che lambiva mobili e sovraporte”. A Ronna Pippa “che lo redarguì dalla finestra, si racconta che abbia risposto correndo alla fontana a mimare, col bastone infilato a più riprese dentro una delle bocche di bronzo, una irriferibile, mai più sentita, minaccia” (G. Bufalino).

Particolare di un ritratto di Donna Pippa Ciarcià (1853-1916). (Collezione privata)

Tutte queste storie erano il contrapiglio antico, che si perde nella notte dei tempi, tra fazioni e campanili di due classi sociali: una liberale e progressista e l’altra reazionaria e conservatrice. Incarnate a quei tempi dal mazzacronico dott. Nunzio Comitini e dal cronico Barone Raffaele Ciarcià e che ora, in forma più sfumata, ogni tanto, ricompaiono.

di Pippo Inghilterra

Per chi guarda Comiso dall’alto degli Iblei, come il pastore di Brueghel appoggiato alla sua canna mentre sorveglia il pacifico gregge, appare come un piccolo borgo, con la sua piazza, i palazzi, le chiese e le strade. Mentre le cupole della Chiesa dell’Annunziata e della Matrice sembrano indicare proprio il luogo di piazza Fonte Diana.

La città è sorta per vocazione attorno alla fonte, sorgente d’acqua copiosa? O quando Diana cacciatrice decise di scendere dalle colline, che s’affacciano sulla valle dell’Ippari, per bagnarsi in quella fonte ombrosa di sacro lauro? Con questi pensieri nella mente, immagino di camminare, dritto verso il cielo, lungo una fune legata alle croci delle lanterne delle due cupole.

Comiso. Le due cupole delle chiese della Matrice e dell’Annunziata

E così da funambolo (immaginario), osservando dall’alto la piazza, fermo al centro, il mio occhio cade sopra la platea fontis della “città-teatro”, mentre con passo lieve cerco di raggiungere il balcone della lanterna della Matrice.  Il mio pensiero corre lontano nel tempo, quando l’acqua della fonte tracimava scendendo lungo il pendio naturale (ora Via E. Calogero) per riversarsi nel vicino alveo del torrente (“ro vadduni a cucca”) e confluire nel solco largo e profondo dell’antico fiume Ippari, un tempo navigabile. Affacciato alla ringhiera, all’ombra della campana, rivedo la piazza della mia infanzia perduta. Un salotto a cielo aperto contornato da nobili palazzi che si rispecchiavano nelle limpide acque della conca della fontana.

Vedo la piazza animata da un mondo contadino e i bambini giocare accanto alle bocche di pietra della fontana. Poi gli astanti attorno a un cantastorie e i mastri di un’antica razza di civiltà della bottega raccontare ai giovani i misteriosi segreti e le finezze dell’arte. Infine vedo passeggiare un’altezzosa combriccola di nobili intenti ad esibire il loro potere.

Vedo dall’alto anche Suzzo Re, alto, dinoccolato, con gli occhi piccoli e opachi persi dietro un pensiero che non muta mai. Lo vedo tra la gente mentre attonito mi guarda traversare l’invisibile filo sospeso, con passo leggero, fino a coprire la distanza tra le due cupole. Poi tornando indietro sulla fune riattraverso dall’alto la piazza per rendere omaggio alla sua fonte e mi sembra di intravedere Diana uscire dalle acque sorgive e confondersi fra la gente.