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Pioggia

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di Giovanna Giallongo

Se vi dicessi di restare fermi, ad occhi chiusi, mentre il cielo si riveste di nuvole oscure e minacciose lasciando andare qualche goccia che potrebbe anticipare una tempesta, voi cosa fareste?
Cercare riparo ed evitare di bagnarsi per scongiurare l’arrivo di un brutto raffreddore è ciò che il nostro istinto (o la nostra abitudine) ci impone di fare infatti, molto spesso, in un istante andiamo via.

Rientriamo in casa infastiditi perfino angosciati. In realtà, è proprio nel momento in cui andiamo via –poco prima dell’inizio di un temporale o di una leggera pioggia – che perdiamo l’occasione di assistere ad una piccola magia olfattiva. Un “fenomeno” scientifico e sensoriale chiamato Petricore*Nome tanto curioso quanto affascinante che si riferisce, nello specifico, ad un piccolo e ben preciso momento meteorologico: l’arrivo della pioggia.

Petricore
Scarlett Johansson e Jonathan Rhys Meyers in Match Point, di Woody Allen (2005)

Quando le prime gocce d’acqua si scontrano con il suolo arido e caldo, diventando quasi vapore, viene rilasciato nell’aria un profumo intenso e particolare. Tale fragranza è il petricore. 
Il nostro olfatto, se presenti durante la formazione del fenomeno, percepisce subito questo insolito odore che riempie le nostre narici a tal punto da ricordarlo, successivamente, senza però avere una definizione esatta di quello che abbiamo vissuto e percepito.

Dal punto di vista scientifico, il petricore è creato dai batteri presenti nel suolo che si sollevano in aria insieme ai loro prodotti quando piove. La pioggia, infatti, si mescola ai composti del terreno e forma delle bolle d’aria che, scoppiando, rilasciano nell’atmosfera delle particelle aromatiche che creano il ben noto profumo di pioggia.

Petricore

Ma perché ne siamo così affascinati?
È tutta una questione di chimica o, meglio, è tutta colpa della Geosmina – un composto organico con un netto sapore e aroma di terra – che cattura il nostro olfatto proprio a causa della sua intensità. Il petricore è termine sicuramente poco usato ma che definisce un’antica sensazione, un profumo che anticipa il futuro quasi, che ci avvisa del mutamento meteorologico che sta avvenendo.

È la manifestazione della bellezza del mondo, degli istanti che non sappiamo apprezzare come dovremmo. È la magia di un momento che non ritornerà fino all’arrivo della prossima pioggia.
Petricore è l’invito a non fuggire. È un dono che la natura ci offre per chiederci di fermarci, solo un momento, e non avere paura. Nonostante il cielo diventi più scuro, nonostante l’aria si raffreddi, nonostante il sole ci privi del suo calore e della sua gioia, petricore ci dice di aspettare. Allargare le braccia, chiudere gli occhi e respirare la fragranza nascosta e misteriosa della natura e dei suoi miracoli.

Petricore
I. Shishkin, La pioggia nel bosco di querce

Le conseguenze di un gesto del genere? Una fugace soddisfazione o una lieve sensazione di benessere. Un sorriso rubato e magari un volto bagnato. Un naso rosso per qualche giorno e qualche starnuto non desiderato. La felicità, forse. Se è vero che essa sia breve, talmente tanto da non accorgercene, allora petricore potrebbe essere una delle sue rappresentazioni migliori.

*Per una descrizione didascalica del Petricore si rimanda a: Enciclopedia Treccani, petricore, neologismi

di Vito Castagna

A volte la colonna sonora di un film può dirci molto sul lungometraggio stesso. È quello che mi è accaduto imbattendomi in quella di Siccità, film diretto da Paolo Virzì e ancora in proiezione presso le sale italiane.

I titoli delle tracce sono già di per sé particolarmente eloquenti – li riporto in ordine di riproduzione all’interno della pellicola: Pioggia Versione Trio, Aurora, La Poetica del Secco, Acido, Canto Fermo, Confessione, Filo del Ragno, Miraggio, Notturno, Passo dopo Passo, Tevere Mitologico, Pioggia.

Paolo Virzì (foto wikipedia)

Francesco Piersanti, compositore e direttore di queste musiche originali, dirà in un’intervista: «… in “Siccità” il suono si inacidisce molto come fosse vittima di una disidratazione fonica, e tutto sembra stridere e alterarsi». L’affermazione di Piersanti e i titoli qui sopra riportati non credo possano lasciare dubbi sul fatto che la siccità, oltre ad essere intesa come una condizione fisica, di privazione di una fonte di vita, è in primo luogo uno stato d’animo.

Difatti, la mancanza di acqua di Virzì non solo soffoca Roma da più di tre anni, ma corrode l’animo dei suoi abitanti, fiaccandone i sensi e generando stati di profondo disagio sociale. Questa capitale, ormai giunta al collasso, alterna l’apatia verso le disgrazie altrui a stati di rabbia feroce, il qualunquismo alla mitomania, l’infelicità ad esplosioni di vitale amore. Un gioco degli eccessi, giustificato da una situazione climatico-sanitaria del tutto eccezionale.

Il Tevere in secca di “Siccità” (foto, lafionda.org)

In questo paesaggio distopico, galleggia un cast d’eccezione: Emanuela Fanelli, Silvio Orlando, Monica Bellucci, Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Tommaso Ragno, per citare solo alcuni dei volti più noti del nostro cinema. A loro è affidato il compito di dar vita a questi drammi, attraverso i propri punti di vista, ma, al contempo, tutti saldamente legati reciprocamente. Una metafora, a detta del regista, della vita stessa, nella quale ognuno di noi fa parte di un arcipelago di isole vastissimo, difficile da sezionare e isolare.

Questa condizione, palesatasi durante i momenti più aspri della pandemia, viene riprodotta con cura, lasciando lo spettatore a tratti incredulo di fronte all’inaspettato intreccio narrativo che lega personaggi apparentemente distanti.

Silvio Orlando (foto ehabitat.it)

Eppure, la coralità riprodotta da Virzì sembra mancare di concretezza. La caratterizzazione appare efficace ma è priva di quell’anelito vitale che spinge un buon personaggio ad essere amato dal pubblico. Siccità mette tanta carne al fuoco, rappresentando nuovi “tipi” di italiano medio, ma questo forse lo rende un lavoro tanto ambizioso quanto incompleto.

Nonostante questa carenza, il film raggiunge il suo scopo, quello di spingere verso interrogativi esistenziali: cosa ne sarà del nostro futuro? Come influenzeremo e verremo influenzati dal clima? È troppo tardi per fermare il collasso del nostro sistema? Domande scontate per risposte mai scontate.

Valerio Mastandrea (foto ansa.it)

Siccità non ci dà risposte, se non la sola ed unica possibile, quella della speranza. Intervistato prima della proiezione al Festival del Cinema di Venezia, Virzì affermerà: «Non si può raccontare niente se non si ha speranza nell’umano». E tornando al nostro punto di partenza, è proprio la Pioggia, quella rappresentata musicalmente oltre che visivamente, la speme tanto desiderata. Quell’acqua salvifica che perdona, così pura che è in grado di rilanciare una nuova società.