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di Giulia Cultrera

Giuseppe Arezzi (1993) è un giovane e brillante designer del prodotto e di interni di Ragusa. Si laurea nel 2016 in Interior Design al Politecnico di Milano e collabora con importanti studi di design del capoluogo lombardo. In contemporanea, nel 2017 fonda Giuseppe Arezzi Design Studio e lavora con diversi studi, università, gallerie e clienti privati.
Ha collaborato con l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e, nel 2020, è stato selezionato tra i migliori 20 designer emergenti internazionali al Pure Talents Contest di Imm Cologne Design Fair.
E adesso è stato nominato per la categoria “Young Talent of The Year” del premio EDIDA (Elle Deco International Design Awards).

giuseppe arezzi
Giuseppe Arezzi (foto di Melissa Carnemolla)

Iniziamo con la novità del momento. Congratulazioni per la nomination agli EDIDA!
Grazie, è stata del tutto inaspettata! Comunicano i nomi dei candidati sulla rivista Elle Decor di Febbraio, ma io non ero stato avvisato prima della pubblicazione. Per cui, vedevo gli altri nominati che scrivevano in merito alla loro candidatura, ma io non sapevo ancora nulla.
Quando è arrivata la mail della nomination come candidato italiano, sono stato contentissimo. Sono quei riconoscimenti talmente prestigiosi che consideri fuori dalla tua portata, e invece è successo anche a me!

Di cosa tratta questo concorso?
Si tratta di un evento internazionale in cui le 25 redazioni di Elle Decor, presenti in tutto il mondo, si riuniscono per premiare le eccellenze del design. Il concorso si divide in 15 categorie e ogni redazione fornisce un nome per ciascuna categoria. Io sono stato candidato per la sezione Young Talent of The Year, che premia i designer emergenti.
A giugno, in occasione del Salone del Mobile di Milano verranno annunciati i vincitori finali. Me la gioco con altri 24 candidati, ma essere nominati in questa fase è già una grande soddisfazione!

(foto di Francesco Conti)

Assolutamente! Questi riconoscimenti premiano la passione, la competenza e l’impegno con cui realizzi i tuoi progetti. Di cosa ti occupi principalmente?
La mia formazione è da designer di interni: dagli studi al Politecnico ho appreso come progettare spazi. In realtà, sapevo fin dall’inizio che avrei voluto realizzare mobili, ma ero convinto che soltanto comprendendo lo spazio sarei stato in grado di relazionarmi anche con la scala più piccola degli oggetti. Quindi, principalmente la mia pratica si dedica a disegnare oggetti, poi anche a realizzare installazioni.

giuseppe arezzi
Canestra, autoproduzione, 2014 (foto di Max Rommel)

Quando devi progettare un nuovo prodotto, in che modo organizzi il tuo lavoro?
Seguo due filoni: uno concettuale e uno più commerciale. Ovviamente, in una certa fase della ricerca questi filoni si incontrano, perché il punto di partenza la base teorica è sempre più o meno lo stesso.
Sono un designer-pensatore, tutti i miei progetti nascono da una ricerca. Prendo spunto da tantissime discipline, come arte, architettura, scienza, sociologia, filosofia, religione, che convergono e si ritrovano all’interno di progetti più concettuali e formali.

E questa ricerca dove ti porta?
Nei primi progetti è emersa una ricerca legata all’uso antropologico e sociologico dello spazio e del modo di vivere. Un’indagine sull’uomo contemporaneo. Dove vive? In che modo vive? Quali cambiamenti sociali sta affrontando?
Il primo lavoro che ha avuto dei riscontri a livello mediatico è stato il mio progetto di laurea, Beata Solitudo (2016).
Ho fatto una ricerca sugli eremiti contemporanei: ho analizzato quella fetta della società che decide di staccarsi dal mondo sempre più frenetico e di andare a vivere in solitudine. Da qui ho progettato un piccolo habitat, un rifugio con tutto il necessario per vivere da soli.

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Beata Solitudo, Una Stanza Tutta Per Sé a cura di Domitilla Dardi, Cantiere Galli Design (foto di Francesco Conti)

Binomio (2019) è un altro lavoro che ha riscosso molto successo. Sono stato invitato dall’Istituto Italiano di Cultura di Parigi per promuovere la cultura italiana all’estero.
In questo caso, mi sono concentrato su un’altra tipologia abitativa, le Chambres de Bonne: piccole stanze poste negli ultimi piani dei palazzi borghesi dell’800, un tempo alloggio delle domestiche. In seguito al boom immobiliare degli ultimi anni, questi spazi microscopici (8, 14 mq) vengono oggi affittati a studenti e lavoratori precari per prezzi esorbitanti.
Ho esaminato un’altra fetta di società, stavolta parigina, attingendo a un grande repertorio fotografico e ai racconti di chi vi abitava, e ho scoperto che in questi alloggi i mobili svolgono più funzioni (divano letto, scrittoio che è anche tavolo da pranzo). Ho deciso, così, di lavorare su un oggetto che potesse tradurre lo spazio minimo, ed è nato Binomio: un mobile formato da tre mensole poste a tre diversi livelli dal pavimento. Un oggetto talmente semplice, che può essere utilizzato per fare qualsiasi cosa: tavolo, scrivania, inginocchiatoio per pregare, panca, appendiabiti.

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Binomio, Edizione It’s Great Design, 2019 (foto Giuliano Giunta)

Oltre a Binomio, esistono altri prodotti legati maggiormente alla funzionalità?
Sì, il servomuto Solista (2018) e la cassapanca Tramoggia (2020). Quest’ultima nasce dall’esigenza e dalla volontà di continuare la ricerca sul mobile funzionale
Mi sono chiesto quale potesse essere il più antico oggetto multifunzionale mai inventato e ho scoperto che si trattava proprio della cassapanca: veniva usata come letto, contenitore, seduta, addirittura come valigia per viaggiare. 
Generalmente le cassepanche sono fatte in legno massello, con un’estetica pesante; io ho deciso di utilizzare un metallo, una lamiera sottilissima di 1,5 mm. In questo modo ho alleggerito l’oggetto, svuotandolo in una forma a imbuto, da cui il nome tramoggia. 
Qui il processo è stato più complesso: una ricerca antropologica incentrata sul territorio e sull’oggetto, con una rilettura in chiave contemporanea che trasforma il prodotto con colori forti come il rosso e il verde.

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Tramoggia, edizione It’s Great Design, 2020 (foto Melissa Carnemolla)

I tuoi progetti sono spesso legati al territorio e alle tradizioni culturali…
Sì, un esempio è Carruba (2021).  Margherita Ratti, fondatrice di It’s Great Design, ha proposto ad alcuni designer emergenti, che vivono nei luoghi affacciati al Mediterraneo, di ideare dei souvenir che ricordassero questi territori un po’ marginali, spesso dimenticati dal turismo di massa. La Sicilia è piena di souvenir, ma le città siciliane non hanno souvenir personalizzati, a parte le classiche ceramiche, le teste di moro o le calamite (che non sono neanche realizzate qui, ma da aziende cinesi).
Inizialmente è stato molto difficile trovare un elemento comune, poi mi sono accorto che il territorio degli Iblei è composto prevalentemente di terra ed è pieno di alberi di carruba. E a quel punto mi è sembrato così evidente!
Partendo dal grado zero la terra ho preso un frutto, la cosa più semplice che ci sia, e l’ho trasformato in un materiale che durasse nel tempo. Gli altri souvenir sono realizzati in alluminio e con procedimenti totalmente industriali. Nel mio caso, ho voluto trasformare l’alluminio artigianalmente utilizzando uno stampo in sabbia. Questa tecnica era impiegata dagli etruschi per stampare le monete.
Lo stampo si distrugge ogni volta dopo l’uso e la singola carruba viene successivamente lavorata a mano. La cosa bella di questo procedimento è che è economico: l’oggetto finito, al pubblico, costa 18€. Questo perché il souvenir deve essere accessibile a tutti, ma prodotto localmente e acquistabile soltanto in quello specifico territorio.

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Carruba, Edizione It’s Great Design, 2021 (foto Giuliano Giunta)

Una volta terminati gli studi a Milano, qual è stata la tua esperienza con gli eventi legati al mondo del design? È possibile operare anche nel territorio siciliano?
Le grandi capitali (Milano, New York, Londra, Parigi) organizzano sempre importanti eventi nel settore dell’arredamento e del design. Ho partecipato alla Design Week di Milano e di Parigi, ma per un giovane designer è molto difficile essere notati all’interno di fiere così articolate.
Collaboro dal 2019 con l’editore di design parigino Margherita Ratti, ultimamente cerchiamo di rivitalizzare luoghi solitamente considerati marginali per il mondo del design, dove è possibile realizzare piccole operazioni che possono avere una maggiore risonanza rispetto ai grandi eventi internazionali. Quest’estate abbiamo aperto uno spazio a Ragusa Ibla, intitolato Design Neo Rurale. Si tratta di una mostra temporanea tenuta nel mese di agosto, in cui abbiamo avuto la possibilità di far conoscere i nostri prodotti a livello internazionale a un numero di potenziali clienti decisamente più ampio rispetto a quello raggiungibile nei grandi eventi. La mostra ha riscosso un grande successo, attirando persone da tutto il mondo, per cui abbiamo in programma una riapertura! Fortunatamente, Ragusa Ibla ha il pregio di essere una meta ambita da parte di un turismo anche colto e interessato a questi iniziative.
Sto cercando di raccontare il mio territorio con un livello 2.0 della contemporaneità: è ciò che ho fatto con Carruba e con Manico. Per me è importante raccontare Ragusa e la Sicilia contemporanea, mostrare uno strato in più di questa sedimentazione che esiste da secoli e che comunque va svecchiata. Il mio obiettivo da designer che opera nel proprio territorio è proprio svecchiare visivamente quello che si è sempre raccontato della Sicilia, distaccandomi dai cliché e dal folklore.

Manico nasce da un progetto di ricerca legato alla tradizione spogliata dal superfluo. Interpreta la semplicità della vita rurale (foto di Natale Leontini)

Utilizzi diverse tipologie di materiale. In base a cosa fai la tua scelta?
L’uso del materiale non è mai casuale. Prediligo sempre il materiale nella sua purezza più totale. Non utilizzerei mai la plastica, mi interessano i materiali puri, nudi e crudi, perché credo che siano quelli più veri e autentici.
Ovviamente, dipende sempre da cosa devo realizzare. Nel caso di Carruba ho scelto l’alluminio perché è quello adatto per i souvenir: è leggero, igienico, può essere trasportato facilmente in valigia.
Riguardo la cassapanca Tramoggia, volevo utilizzare una sezione sottilissima e il legno non avrebbe mai permesso di ottenere questo risultato.
In altri casi, è la committenza a decidere: il Servomuto Solista, ad esempio, è stato richiesto da un’azienda di Grammichele che lavora il legno.

La cassapanca Tramoggia

C’è un progetto a cui sei maggiormente legato?
In realtà non ho un progetto preferito. La mia idea è un po’ totalizzante; come diceva il designer Enzo Mari, il progettista deve “definire un proprio modello di mondo ideale”.
Io vorrei lavorare a questo: il mio progetto preferito deve ancora arrivare, sarà l’insieme di tutti i miei progetti messi assieme e crescerà sempre, probabilmente non finirà mai.

(foto di Natale Leontini)

Vorrei concludere con una considerazione: sei un giovane designer emergente, hai già ricevuto molti riconoscimenti, Binomio è entrato a far parte della collezione permanente di Design e Arti Decorative del CNAP – Centro Nazionale di Arti Plastiche di Parigi. Cosa significa, oggi, vivere del proprio talento e della propria creatività? 
Me lo chiedo tutti i giorni! È una cosa che va sfatata: vivere da designer oggi è davvero complesso, non è un lavoro per cui hai uno stipendio fisso tutti i mesi. Soprattutto, non si tratta di una professione per cui ti laurei e l’indomani hai l’impiego pronto. Se vuoi lavorare al servizio di altri studi di design, magari è un po’ più semplice, ma si deve comunque fare tanta gavetta.
In questo momento, ogni progetto è un continuo investimento, esattamente come quando crei un’azienda da zero. All’inizio investi molto e poi, a un certo punto, se hai investito bene inizi ad avere un riscontro.
Ma in questa prima fase l’appoggio e il supporto della famiglia è fondamentale per non arrendersi. La cosa più difficile è avere il riconoscimento! Mi rendo conto che non è facile essere notati, molti gettano la spugna.
Sono arrivato a un punto in cui ho i miei riconoscimenti, ma devo ancora fare tanta strada, e ne sono consapevole. Mi riconosco una dote importante che è la perseveranza: mi interessa arrivare a un obiettivo e quindi non mi stanco, continuo a perseverare in questo lavoro!

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Solista, Edizione Desine, 2018 (foto Max Rommel)