di L’Alieno
Che bello il suono delle campane, vero? E chissà quanti spiriti romantici che vivono nelle periferie, magari sollecitati dai ricordi nostalgici, desidererebbero vivere, ancora, vicino ad una bella chiesetta con tanto di campane e campanaro. E non avrebbero torto se ad azionare le antiche cordicelle ci fosse ancora uno di quei vecchi sagrestani in carne ed ossa, quasi sempre personaggi coloriti, che ad orecchio e olio di gomito riuscivano ad eseguire brevi sinfonie con grazia e perizia ad ogni occasione, festosa o dolente che fosse.
Le campane nelle loro mani diventavano docili strumenti musicali che lasciavano trasparire anche il loro umore giornaliero, a volte ispirato e gaio, altre volte irritato e mal disposto, a seconda che il tocco fosse perfettamente ritmico e allegro o frettoloso e con qualche nota stonata.

Ma queste sono storie d’altri tempi, di un piccolo mondo antico a passo d’uomo, quando non esistevano timer e centraline elettroniche. Perché è da tempo che al posto del campanaro ci sono insensibili e diabolici meccanismi automatici programmati da altrettante insensibili manine, che impostano tempi e modi delle scampanate a loro esclusivo piacimento, come gli gira. Tanto fa tutto la macchina.
E se al tempo del vecchio sagrestano quel suono entrava nelle nostre case con discrezione, dolcezza e rispetto, adesso, entra con menefreghismo, pervasività e arroganza, ritmicamente, a batterie di fuoco di 5/10/15 minuti per poi riprendere allo stesso modo dopo una pausa della medesima lunghezza circa. Un bombardamento acustico costante, che sembra studiato apposta per massacrare i timpani di noi poveri malcapitati abitanti del centro storico, fedeli e non. Costretti a sopportare e maledire quegl’infernali meccanismi automatici perché vadano finalmente in corto circuito.

Immaginatevi poi la felicità di chi risiede, come il sottoscritto, chiuso in un piccolo triangolo tra tre chiese e tre orologi, a scandire il passare delle ore. Anche a desiderare di distrarsi per un attimo, senza pensare al tempo che fugge, non si può. Ogni quarto d’ora ben tre orologi mi ricordano che all’ora finale della mia vita sono venuti meno altri 15 minuti.
