di Giuseppe Cultrera
Quell’aprile del 1910 doveva essere memorabile per Chiaramonte. Scriveva il cronista sul Foglio Ufficiale dell’Arcidiocesi di Siracusa, Maggio 1910: «Per una felice coincidenza di circostanze possiamo dire che la festa della Madonna di Gulfi di quest’anno segna una pagina delle più belle della nostra storia. La riapertura della Chiesa Madre col nuovo splendido pavimento di marmo già completo, l’inaugurazione del nuovo organo liturgico, la schola cantorum di Ragusa, ci faranno ricordare per un pezzo delle feste di quest’anno.»

Sua Eccellenza Mons. Luigi Bignami, arcivescovo di Siracusa «il 2 (aprile) nel pomeriggio, rilevato dall’arciprete Rosso e da suo fratello, Sac. Giuseppe, incontrato lungo il viaggio prima dai seminaristi, poi dal Clero, e per ultimo dal Sig. Sindaco, salì a Chiaramonte. Dalla Chiesa di S. Filippo trasportò processionalmente il SS. Sacramento alla Matrice, che così si riapriva solennemente, dopo quasi due anni di chiusura per restauri degli stucchi, del pavimento e dell’organo: la processione, come si espresse l’Arcivescovo, era la più condegna inaugurazione dei restauri e dell’organo e la più indicata apertura delle feste. L’Arcivescovo predicò il novenario della Madonna. La Domenica 10, tenne il Pontificale: tutti i giorni amministrò le sante Cresime nelle diverse chiese.»

Fin qui il resoconto ufficiale. Ma quell’anno successe dell’altro, che le cronache ufficiali solo in parte raccontarono: una insolita prova di forza, tra l’Arcivescovo Bignami, parroco Alfonso Rosso e sindaco Cav. Giuseppe Nicastro da una parte e il comitato dei festeggiamenti della Madonna di Gulfi e la banda musicale dall’altra. Per la verità i contorni della contrapposizione sfumano ancor più se, alla voce del bollettino siracusano, si aggiungono alcune cronache giornalistiche del tempo e specialmente la memoria popolare che come ben sappiamo è sciolta dai ceppi del politically correct.

Tutto partiva dall’anno precedente, per i festeggiamenti di San Giovanni Battista, quando l’arcivescovo aveva vietato l’ingresso in chiesa della banda musicale, per eseguire la marcia reale durante le funzioni religiose. Così ad inizio aprile del 1910, in occasione della festa e novenario della Madonna di Gulfi e delle inaugurazioni del nuovo pavimento e dell’organo, Mons. Bignami con «parole più che paterne» auspicò «che non volessero turbare la festa con un vero atto di disubbidienza» ribadendo il divieto ai chiassosi intermezzi della banda con entrata ed uscita.
In verità il prelato di Siracusa aveva avuto qualche soffiata che già il primo giorno di festa, la tradizionale salita, la banda – ovviamente spinta da comitato dei festeggiamenti, portatori e devoti – avrebbe replicato il solito refrain. E così avvenne l’indomani, profittando pure che l’arcivescovo non fosse presente.

Il quale, ovviamente, andò su tutte le furie intimando ai sacerdoti ed autorità civili di vigilare sui focosi devoti e sull’intemperante corpo bandistico comunale. «Allora» scrive, in una nota al vetriolo, sul suo Foglio ufficiale l’arcivescovo di Siracusa «chiamai il Sig. Direttore, al quale il Parroco giorni prima aveva riletto le disposizioni – disposizioni per di più affisse in tutte le chiese di Chiaramonte – e l’avvertì che ci pensasse bene a portarsi in chiesa un’altra volta con la musica; egli cercò difendersi, dicendosi un povero padre di famiglia alla dipendenza del Municipio.» Questo il milanese Bignami lo sapeva bene, come aveva contezza che la vigilanza del clero locale fosse fuorviata dalla troppa “devozione popolare”. Perciò: «Parimenti mandai ad avvertire il Sig. Sindaco che se la sera la musica fosse entrata ancora in chiesa, l’indomani mattina avrei lasciato Chiaramonte senz’altro.»

E perché fosse chiaro a tutti, la sera chiuse il discorso d’introduzione al novenario con queste testuali parole: «Dell’incidente di stamattina non se ne parli più. Non avete creduto di tener conto della mia preghiera, sia come avvenne. Monsignor Bignami dimenticherà tutto, volendo agire da padre co’ suoi figli. Speriamo – continuava nella citata nota – che se fu la prima sarà anche l’ultima. La pagina, certo non delle più felici, che si volle scrivere oggi nella storia della vostra città, stracciamola, in modo che non ne rimanga traccia di sorta.»
E tornò la quieta dopo la tempesta. La banda se ne stette per tutto il novenario fuori dalla chiesa, dove poté suonare tutte le marce richieste dal comitato, dalle varie categorie che si alternavano nelle sere del novenario, devoti ed autorità civili.

L’ultimo giorno, il mercoledì della discesa del simulacro al Santuario, però successe l’inghippo: la banda entrò festosa con la sua marcia trionfale in chiesa e al clero sopraffatto ed esautorato non restò che minacciare di disertare la processione di ritorno al Santuario. Mons. Luigi Bignami, tra l’altro, era ancora nella sua stanza del Palazzo Montesano intento a prepararsi per la discesa, alla fine della quale avrebbe fatto il tradizionale fervorino e saluto alla Madonna. Qualcuno – ingenuo o maligno – corse dall’Arcivescovo a perorare un suo intervento per convincere parroco e clero a desistere. Apriti cielo: lo sprovveduto messaggero ebbe il fatto suo, mentre l’arcivescovo immediatamente, accompagnato dal cerimoniere e dal ciantro Demartino, a piede si avviò verso la città di Comiso, inseguito e raggiunto, poco dopo, dalla carrozza inviata dal Sindaco. Scriverà, sempre nella citata nota del Foglio Ufficiale, che non ci furono né autorità civili né carabinieri ad impedire che comitato e banda cittadina facessero a modo loro; e, in parte, ne aveva avuto contezza quando uscendo dal paese, a piedi, passando davanti alla caserma dei Real Carabinieri vide che «uno di essi sedeva al balcone della caserma in arnese di casa fumando placidamente.»
Mai fidarsi dei ‘piemontesi’.
Figurarsi poi della stampa laica che sui fatti di quell’inizio di aprile, a Chiaramonte, ci ricamò a menadito. Anche il sindaco fu latitante (o meglio saggiamente presente nel cuore del suo elettorato) e il clero e i notabili, più che tiepidi.
Per sceverare la matassa è opportuno pertanto ricorrere al si dice popolare (che a volte cela più spunti delle carte ufficiali). Sembra che negli anni precedenti con il clero chiaramontano e le autorità civili ci fossero stati vari momenti di incomprensione: ad esempio relativamente al “tesoro” di S. Caterina, il monastero femminile soppresso nel 1866. Gli arredi sacri ed argenti (che oggi in parte sono esposti al Museo di arte sacra) restati in potere della chiesa e pertanto della curia, Mons. Bignami li avrebbe voluto trasferire a Siracusa. Il clero locale, ma specialmente il popolo e le autorità civili, erano contrari in quanto patrimonio della comunità. La voce più critica e vivace fu quella del sacerdote Luigi Salerno, insegnante di latino e greco dei rampolli chiaramontani, già canonico metropolitano e, in seguito, privato del titolo proprio per questa sua abitudine “di dire pane al pane”. Si raccontava che durante una delle visite pastorali del Bignami, sulla questione erano volate parole grosse e che l’arcivescovo avesse abbandonato il campo furente. Parimenti, relativamente al mercoledì 13 aprile 1910, circolava un’altra versione dei fatti: che l’abbandono dell’arcivescovo fu per sottrarsi ad alcuni “facinorosi” che intendevano “dissentire”. E che la carrozza, inviata di fretta dal sindaco, fosse stata provvidenziale ed opportuna.
Ringrazio Angelo Salvo per la documentazione e la copia del “Foglio Ufficiale dell’Arcidiocesi di Siracusa” Anno III, n. 5, maggio 1910.