L’articolo di oggi è tratto dal volumetto n.5 di “Senzatempo” del 2011, a firma del compianto Pino Riggio (1938 – 2019), per tanti anni apprezzato dirigente dell’Ufficio tecnico comunale a Chiaramonte e appassionato ricercatore di storia locale.
di Pino Riggio
Gli anni cinquanta in Italia furono caratterizzati dai postumi di una terribile guerra non voluta e sfociata addirittura in una carneficina fratricida. La crisi fu soprattutto economica e la povertà affliggeva molte famiglie. Si riusciva a tirare avanti con enorme fatica.

Come dimenticare in quel triste contesto l’opera a favore dei più bisognosi di alcuni sacerdoti come don Giovanni Alescio, don Mariano Ferrante e i fratelli don Salvatore e don Giuseppe Cutello? Anche alcune famiglie benestanti si distinsero per generosità, in tal senso, e meriterebbero di essere ricordate. Ma fra tutti spiccò soprattutto la figura di un umile frate del Convento “ri Gesu” (Santa Maria di Gesù): Padre Michelangelo Bognanni, che visse a Chiaramonte per oltre trentadue anni. Proveniente da Mazzarino, dove era nato, arrivò a Chiaramonte nel 1938 dopo essere stato anche partecipe delle grandi sofferenze della Prima Guerra Mondiale, tra le trincee del fronte di guerra.

Padre Michelangelo, di buon mattino, dopo aver adempiuto agli obblighi imposti dalle regole dell’ordine dei frati minori francescani, cui apparteneva, sotto il sole cocente o nel freddo inverno, sotto la pioggia o con la neve, era solito uscire dal suo convento per aiutare e confortare le persone più bisognose, portando i sacramenti a chi era impossibilitato a muoversi. Da umile frate questuante, andava a bussare di porta in porta facendosi riconoscere con il suo celebre: “Palummedda, palummedda”.
Portava sempre con sé una scodella che faceva riempire con qualcosa di caldo e sostanzioso da chi era in grado di poterlo fare, per poi donarla ai suoi poveri e agli ammalati che lo aspettavano con ansia. Lo si poteva incontrare a piedi, da solo, dentro le mura della città come nelle campagne o anche nei paesini vicini. Era così tanta la strada che percorreva ogni giorno da tornare spesso sfinito in convento, ma sempre con quel dolce sorriso che lo distingueva.

Dignitosamente pregava le persone più agiate di venire in aiuto delle famiglia in difficoltà. In natura o in denaro, nessuno, in quel che poteva, riusciva a negargli quanto chiedeva. E al termine delle sue faticose giornate, durante la strada del ritorno, era solito programmare l’itinerario e le visite del giorno successivo. Quasi mai un giorno di riposo. Le sue soste, quasi forzate, erano soltanto dovute alle incombenze di natura ecclesiastica, alle festività patronali e alle feste comandate: Pasqua e Natale.

Era il 5 settembre del 1970 quando venne a mancare, all’età di 85 anni. Al suo funerale accorse una grande massa di persone di ogni età e condizione sociale. La prova provata di quanto egli fosse stato amato da tutti e di quanto potesse aver meritato in tanti anni di umile servizio verso gli ultimi.
Come poter dimenticare la nobile figura di quell’umile frate di Mazzarino (a cui è stata dedicata anche una via del suo quartiere). Oggi, giustamente, viene considerato quasi un santo. E in tal senso, a circa trent’anni dalla sua dipartita, su proposta dell’allora Vescovo di Ragusa, Mons. Angelo Rizzo e di altre autorità ecclesiastiche, fra cui Padre Costanzo Cagnoni dell’Istituto Storico dei Cappuccini di Roma, fu promosso un convegno con l’intento di raccogliere testimonianze per avviarne il meritatissimo processo di beatificazione. Speriamo possa concludersi positivamente, prima o poi.
