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prof. Gian Nicola Spanu

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di Costantino Muscau

Leviamoci subito il pensiero: lo scacciapensieri non è solo siciliano. È anche sardo. Molto sardo. Senza offesa per l’isola sorella. Non è un “piccolo strumento popolare tipico della Sicilia”, come scrive lo Zanichelli. Neppure è del tutto vero che sia “diffuso soprattutto in Sicilia”, come afferma l’enciclopedia Treccani. È vero, però, che l’inconfondibile suono di questo strumento musicale a lamella vibrante nutre l’immaginario nazionale e siciliano.

“Purtroppo, questa identificazione con l’isola maggiore del Mediterraneo ha fatto del male alla Sicilia stessa e allo scacciapensieri – esclama indignato Walter Maioli, uno dei massimi divulgatori ed estimatori del marranzano (nome siciliano), o trunfa (in sardo) – La sua musica è stata associata alla mafia. Si pensi ai tanti film, o sceneggiati, con gli uomini in coppola e doppietta che avevano come colonna sonora le vibrazioni semplici e affascinanti dell’”idiofono”. (Idiofono è ogni strumento costituito da un materiale per sua natura sonoro, come anche le campane, ndr).

Walter Maioli insieme a Piero Angela (foto soundcenter.it)

Un esempio per tutti: la suggestiva, coinvolgente colonna sonora de Il clan dei siciliani, opera di Ennio Morricone, del 1969 – ci ricorda un altro illustre musicologo, (sardo), il professor Gian Nicola Spanu, del Conservatorio Luigi Canepa di Sassari, autore del fondamentale volume “Strumenti e Suoni nella musica sarda”, (Nuoro, Ilisso, 2014). “In questo film, lo scacciapensieri dà il meglio di sé – ironizza il professor Scanu – Qui si capisce perché la gente creda che sia uno strumento siciliano DOC!”.

Il prof. Gian Nicola Spanu

Rincara la dose Walter Moioli: “Questo stereotipo, questa triste fama ha rafforzato lo svilimento del valore culturale di uno strumento antichissimo e universale e ha contribuito a confinarlo in un angolo disprezzato della musica folkloristica”. E pensare che un tempo era il compagno dei canti popolari dei carrettieri, come lo ha immortalato Salvatore Quasimodo, nella poesia “Strada di Agrigentum”(1938):
“…Il marranzano tristemente vibra
nella gola del carraio che risale
il colle nitido di luna, lento
tra il murmure d’ulivi saraceni”.

Il premio nobel modicano Salvatore Quasimodo

Quasimodo, nel recupero della tradizione, evoca un’immagine tipica della Sicilia: il marranzano e un uomo che spinge il carretto. Ma è un errore storico-musical-etnografico insistere nella identificazione Sicilia-Scacciapensieri. Ai danni della Sardegna e non solo! Sentiamo ancora Walter Maioli, 72 anni, prova vivente di quanto sia fasullo questo luogo comune. Maioli, milanese puro sangue, (ma trasferitosi a Paestum) ha speso la sua vita come esploratore di “paesaggi sonori”, animatore del Centro del Suono (si veda il sito soundcenter.it), valorizzatore e ricercatore di strumenti antichi, innamorato pazzo dello scacciapensieri. “Ho convertito persino Franco Battiato al marranzano, io ne posseggo almeno 50 esemplari – ci racconta entusiasta – Purtroppo me ne è stato sottratto uno della Siberia, dove lo suonano in modo meraviglioso. Consiglio a tutti di andare su YouTube e ascoltare il khomus, strumento nazionale siberiano!”.

Musicisti della Yakutia che suonano il khomus (foto Sovfoto)

Siberia? Eh sì, perché questo piccolo pezzo di ferro – e non solo – dall’enigmatica forma di chiave , di ferro di cavallo – e non solo -, sarebbe nato proprio nelle pianure congelate della Yakutia. Cinque anni fa un regista-suonatore siciliano, Diego Pascal Panarello, realizzò “The strange sound of happiness”: un film documentario che racconta il percorso straordinario dalle coste siciliane all’immensa, sterminata provincia orientale russa. Un viaggio sulle tracce dell’antico dispositivo per bocca, diffuso in tutto il mondo e in moltissime culture tradizionali. Un tentativo di ricostruirne storia e origini e smontando un cliché che sembra inscalfibile, indistruttibile, immarcescibile, si direbbe imperituro!

Conferma il professor Spanu: “È impossibile trovare un’origine precisa. C’è chi ipotizza una derivazione in epoca protostorica, o forse anche storica, dall’Asia – e non sarebbe l’unico prodotto d’importazione da quei luoghi, dalle lingue alle religioni a certi cibi – In una mia ricerca – “Strumenti e suoni nella musica sarda”, 2014 – metto in evidenza anche la possibile derivazione rom in Europa, attestata da molte denominazioni nel continente  – e in Sardegna compare anche un curioso riferimento ai greci – Si sa che i rom, nel basso Medioevo rappresentano l’ultima ondata di migrazioni indoeuropee”.

Il sito soundcenter.it enumera almeno 65 Paesi che esaltano lo scacciapensieri. Quanto all’Italia la diffusione è registrata soprattutto in Sicilia e Sardegna, ma anche in Calabria, Campania (guarda caso denominato anche tromba degli zingari), Friuli, Liguria, Lombardia, Piemonte, Romagna. Nel mondo anglosassone si è affermata la denominazione “jew’s harp, o jaws harp”. L’etimologia, però, contrariamente a quello che appare, non ha relazioni con la cultura ebraica, bensì con la “mascella” (jaw), che lo tiene stretto. La data certa dello sbarco in Sicilia è ignota. Si ipotizza sia legata al succedersi delle dominazioni e al passaggio di mercanti di tutto il Mediterraneo.

Suonatore di jew’s harp (particolare). Dipinto di Dirck Van Baburen, 1621 (Centraal Museum di Utrecht, Olanda)

E in Sardegna? “La prima attestazione scritta sembra essere quella di Vincenzo Porru, nel suo Nou dizionario universali sardu-italianu, del 1832 – ricostruisce il professor Spanu – Essa lascia intendere che ci fossero dei fabbricanti già ai primi dell’800″. Il quesito del copyright tra Sicilia e Sardegna è però insolubile. Sarebbe come chiedersi chi ha scoperto l’acqua calda! Tra tutti gli strumenti musicali, infatti, è quello con l’areale più esteso del pianeta Terra.

Bottega di Pietro Paolo e Ignazio Piredda in Sardegna. Le tre fasi della lavorazione della Trunfa (scacciapensieri in dialetto sardo): Lavorazione del telaio, forgiatura e molatura (foto blogfoolk.com)

In un’ipotetica carta mondiale di distribuzione coprono la più vasta area di attestazione. Il che, ovviamente non vuole dire che esso sia lo strumento più diffuso in termini numerici. Se ci si diverte a sentire il suono della grande varietà di scacciapensieri, si resta stupiti dal fatto che tutti, alla fine, si somigliano. Questo perché le poche note sono sempre le stesse a qualsiasi latitudine e longitudine: gli armonici naturali del suono fondamentale che non seguono le regole della cultura, ma della fisica. Se esiste uno strumento universale quello è lo scacciapensieri. Come l’acqua calda, appunto: è patrimonio comune del genere umano.

Concludendo? Sorride il professor Canu: “Nessuna prova, allo stato attuale degli studi, consente a una delle due maggiori isole del Mediterraneo di fregiarsi del titolo di primo inventore dello strumento”. Ma come mai, allora, il luogo comune, difficile da sradicare, propalato dallo Zanichelli e della Treccani? “Se mi posso permettere, l’abbinamento dello strumento alla Sicilia è dovuto essenzialmente al cinema neorealista e poi alla televisione, che ne hanno fatto un uso iconico. Cosa che invece è toccato in Sardegna a due espressioni polifoniche tipiche e antichissime, quali il canto a tenore e le launeddas”.

Jew`s harp – traditional folk instrument