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quercia di contrada Muti

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Continuano gli articoli in onore della rivista “Senzatempo” del compianto Giovanni Bertucci. Stavolta la nostra attenzione si è concentrata sul volume III° in un articolo di Giovanni Amato sugli alberi monumentali che popolano la Sicilia e in particolar modo la zona iblea.

di Redazione

Tra tutte le caratteristiche tipiche degli alberi, probabilmente la longevità è quella che incuriosisce di più gli umani. Parliamo di esistenze plurisecolari che hanno dato origine a miti e leggende di ogni genere.
Sin dalla notte dei tempi alcuni alberi furono consacrati agli dei. Non a caso la tradizione giudaico-cristiana collocava nel paradiso terrestre l'”albero della vita”, fonte di conoscenza universale e vita eterna, cosi come la cultura celtica legava all’albero, conoscenza, forza e vitalità. Per greci e romani addirittura interi boschi erano considerati sacri e la loro profanazione veniva duramente punita.

Castagno della Nave a Mascali (circa 3.000 anni) (foto alberimonumentali.info)

A partire dal Medioevo gli alberi iniziarono invece a perdere la loro “sacralità” e la loro tutela fu strettamente legata a quella dei boschi, essenzialmente per ragioni economiche e di prestigio. Poiché quasi sempre erano possesso di nobili e sovrani che ne traevano guadagno con la produzione e la vendita di legname, carbone, e costituivano motivo di vanto per le battute di caccia. Tuttavia, anche nel corso di questo periodo storico nacquero leggende intorno agli alberi e tra queste una delle più suggestive riguarda Guglielmo II di Sicilia detto “il buono”.

Ficus di Piazza Marina a Palermo (foto alberimonumentali.info)

Si narra che il sovrano si fosse addormentato sotto un carrubo mentre era a caccia nei boschi di Monreale. In sogno gli apparve la Madonna, che gli rivelò il segreto di una “truvatura” con queste parole:
“Nel luogo dove stai dormendo c’è nascosto il più grande tesoro del mondo dissotterralo e costruiscici un tempio in mio onore”.
Detto ciò scomparve e Guglielmo ordinò che si sradicasse il carrubo e si scavasse intorno ad esso. Con grande stupore venne scoperto un grande tesoro in monete d’oro, immediatamente destinato alla costruzione del Duomo di Monreale.

Guglielmo II dedica la Cattedrale di Monreale alla Vergine (mosaico del Duomo di Monreale) (foto José Luiz Bernardes Ribeiro da Wikipedia)

Oggi, a distanza di secoli, molte di queste leggende sono finite nell’oblio ed è gradualmente venuto meno quel profondo legame tra uomo e giganti verdi. Parliamo di alberi monumentali, muti testimoni del passaggio di innumerevoli generazioni e spettatori involontari di tante vicende della storia umana.
Ma quando si parla di questi alberi non si può tacere un primato tutto siciliano. Sulle pendici dell’Etna ancor oggi è possibile ammirare magnifici esemplari plurisecolari di castagno, tra questi, di particolare importanza è il castagno “dei 100 cavalli” che con i suoi oltre 2.000 anni detiene il primato di albero più grande e longevo d’ltalia.
La leggenda vuole che durante un terribile temporale sotto la sua grande chioma fosse riuscita a trovare riparo la regina Giovanna d’Aragona con un seguito di 100 cavalieri.

il castagno “dei 100 cavalli” sulle pendici dell’Etna (più di 2.000 anni)

Se ancora oggi è possibile ammirare questo maestoso esemplare è certamente merito di una legge del 1744 del Regno di Sicilia per la “conservazione dei meravigliosi alberi nel bosco del Carpinetto sopra la città di Mascali”. Già all’epoca questi castagni destavano ammirazione “per la cui smisurata grandezza arreca a tutti lo stupore”. Una legge all’avanguardia in Europa, sintomo di una sensibilità “ecologica” forse superiore a quella odierna e riconoscibile già nelle sue stesse motivazioni:

“celebri rarità siccome appalesano i portenti della natura cosi ugualmente apportano lode e decoro al Regno, di cui elle ne sono la propagine e lo germe; affinchè con tale conservazione e propria d’una buona Regenza, tramandar si potesse alla veggente posterità un monumento dell’insigne naturale portento”.

Ilice di Carrinu (Zafferana Etnea, 700 anni circa) (foto alberimonumentali.info)

Sulla base di tali valutazioni era stata ben compresa la necessità di proteggere quei monumenti della natura, unici al mondo, e le sanzioni previste in caso di violazione erano piuttosto dure: “pene pecuniarie, personali, carcerazioni […] affin di accertarsi l’intento della conservazione di detti alberi…”

A vegliare sull’applicazione della legge erano stati previsti tre “Custodi” a capo dei (tre) dipartimenti in cui fu divisa la Sicilia. In tal senso di particolare interesse risulta essere l’attività svolta tra il 1803 e il 1814, prima da Saverio e poi da Mario Landolina (padre e figlio), nella circoscrizione del Val di Noto. Un primo documento è costituito da una lettera che Saverio Landolina inviò all’Arciprete Caltabiano di Sant’Alfio di Mascali con la quale gli notificava la nomina a “Vicecustode”, ma soprattutto gli ricordava che la sua principale attività doveva essere rivolta “alla conservazione dell’albero di castagno detto di cento cavalli il quale, al pari di tutti gli altri alberi di castagno dei dintorni, dallo zio Cav. Biscari era stato marcato col contrassegno della Real Corte”

Castagno dei Cento Cavalli, Jean-Pierre Houël (1777). (Immagine da Wikipedia)

Purtroppo, nei primi decenni dell’800, molti boschi siciliani furono privati di diversi alberi plurisecolari per mancanza di adeguati controlli. A tale riguardo appare esemplare la lettera datata 22 ottobre 1811 con la quale il Vicecustode Caltabiano informava Mario Landolina, che un certo Antonino Musumeci, di Mascali, aveva fatto tagliare “alcuni piedi di castagno antichissimi e di smisurata grandezza, simili a quello detto di cento cavalli”, per produrre carbone. II Landolina a sua volta nel febbraio del 1812 arrivò a denunciare il Musumeci al Ministro di Stato Soratti.

Ulivo secolare (Foto Giulio Lettica)

In realta, di alberi monumentali se ne ritrovano in tutta la Sicilia a cominciare dall’area degli lblei, dove tutt’ora si possono ammirare numerosi esemplari di alberi plurisecolari. Si tratta soprattutto di carrubi e olivi, ma anche di altre specie come la maestosa quercia di contrada Muti nel territorio di Chiaramonte, che rappresenta peraltro l’area di maggior interesse per la coltivazione dell’ulivo per via dei suoi circa 400.000 esemplari, di cui ben il 40% secolari.

La quercia di contrada Muti a Chiaramonte

Tra tutti i monumenti vegetali, nella provincia iblea meritano di essere ricordati:
1- Carrubo di Cava Palombieri (Modica), circa 700 anni;
2- Carrubo di Cammaratini (Modica) circa 600 anni, con circa 12 m di circonferenza al colletto possiede uno dei tronchi più grandi tra quelli censiti in Sicilia;
3- Carrubo di Favarottella (Modica) circa 600 anni;
4- Carrubo di Caschetto (Modica) circa 1000 anni, è il carrubo piu longevo della campagna ragusana
5- Carrubo di lozia (Modica) circa 600 anni, 11 metri di altezza
6- Carrubo di Muglifulo (Modica) circa 600 anni;
7- Olivi di contrada Muti (Chiaramonte). Si tratta di due esemplari rispettivamente di 650 e 750 anni. Uno dei due è in realtà costituito da due piante vicine con le ceppaie in parte concresciute;
8- Roverella di contrada Muti (Chiaramonte). Circa 400 anni di età ed oltre 17 metri di altezza. Questo esemplare è legato ad una leggenda che avrebbe potuto dare il nome alla stessa contrada.

Ulivi secolari nella zona di Chiaramonte (foto Giulio Lettica)

Un contadino che si era addormentato all’ombra di questa grande quercia vide in sogno una luce abbagliante e udì una voce che gli disse che se al tramonto del terzo giorno avesse scavato ai piedi del maestoso albero avrebbe rinvenuto una “truvatura” costituita da un forziere pieno di monete d’oro. L’unica raccomandazione che gli venne fatta fu quella di non parlare con nessuno di quanto aveva udito. Tuttavia l’uomo riferì alla moglie ciò che aveva ascoltato e visto in sogno. Questa lo invogliò a cercare immediatamente il tesoro. Così entrambi si misero a scavare per tutta la notte e quando furono sorpresi dalle prime luci dell’alba rimasero “muti” per tutta la vita.