Tag

renato guttuso

Browsing

di Giuseppe Cultrera 

Cristo si era davvero fermato a Eboli: e nessuno meglio di Carlo Levi che, in quella assolata giornata del maggio 1959, si inerpicava per le scoscese balze di Chiafura al margine orientale di Scicli, poteva spiegarlo agli altri stupiti visitatori che erano scesi da Roma per inoltrarsi in quel girone infernale stipato di grumi di povertà. Del gruppo facevano parte Pier Paolo Pasolini, Renato Guttuso, Antonello Trombadori, Paolo Alatri e Maria Antonietta Maciocchi, direttrice della rivista Vie nuove che avrebbe pubblicato in un inserto immagini e testi di quel mondo, difficile da credere al resto d’Italia che superato il dopoguerra si avviava al boom economico.

Gli aggrottati di Chiafura
1959: un momento della visita (a sinistra) e copertina della rivista “Vie nuove” con l’articolo su Chiafura (a destra)

A Scicli, mentre ci inerpicavamo lungo i fianchi sconvolti della montagna, in una sorte di paesaggio, dove si spalancavano le bocche nere delle grotte abitate dagli uomini, il nostro più sicuro Virgilio, nella piccola folla che ci accompagnava, era una giovane donna vestita di nero, dal viso fermo e nobile, dalle parole facili, dal passo leggero e sicuro, che correva lungo gli anfratti della roccia. Davanti ad una di queste grotte, forse la più orrida, perché precipitata in un antro sottostante, in una voragine di pietra tutta aperta da un lato ai venti della montagna, la donna, Carmela Trovato, ci ha detto semplicemente, come se la notizia si aggiungesse senza spicco a tutte le altre che ci aveva dato: ‘Sono nata qui dentro. Sono chiafurara anch’io’.

Gli aggrottati di Chiafura
Pagine interne della rivista “Vie nuove” con il servizio speciale su Chiafura

Sull’onda del servizio di Vie nuove la stampa nazionale ma anche molti intellettuali e politici si interessarono del caso Chiafura. Tanto da smuovere il Parlamento, che approvò la legge Aldisio. Grazie alla quale furono costruite le case popolari di contrada Iungi, dove furono ospitati quasi la totalità degli abitanti delle grotte. Chiafura man mano venne abbandonata e divenne disabitata.

Gli aggrottati di Chiafura
Alcune immagini del fotoservizio di Egidio Vaccaro dedicato alla visita di Chiafura (1959)

Metafora della Sicilia: quella antica con la stratificazione di storie ed uomini che la cava groviera di Chiafura raccontava e quella nuova che i giovani intellettuali del Circolo Brancati, nel maggio del ’59, aspiravano a percorrere: magari con l’apporto dei Pasolini, Levi, Guttuso, Trombadori, Alatri, Maciocchi chiamati a dar voce al loro sogno di riscatto.

Scicli
Chiafura (Scicli) oggi

Oggi Chiafura è un parco; le bocche spalancate delle grotte che hanno ospitato per  mille anni uomini e donne schiacciati dal bisogno e dalla precarietà, ci appaiono suggestive, persino poetiche inserite nel paesaggio che abbraccia Scicli. Quella che fa esclamare a Vittorini (Le città del mondo): “È la più bella città che abbiamo mai visto!”

Chiafura
Scicli (foto di Giulio Lettica)

di Giuseppe Cultrera

Come sono le case dei poeti e degli scrittori? Certo molto simili a quelle della maggior parte di noi. Nulla a che fare con quelle dei vip, di coloro che contano e vogliono contare esternando il potere politico ed economico: altisonanti, super accessoriate, vistose, spesso opera di un architetto (meglio archistar, nel loro caso).

Le centinaia di dimore (molte rese disponibili al pubblico come fondazioni o musei: e mi riferisco ovviamente agli scrittori e poeti del passato Pirandello, Verga, Capuana, Tomasi di Lampedusa, Piccolo, Sciascia e, dalle nostre parti, Quasimodo, La Pira, Bufalino) sarebbero, invece, un itinerario interessante e intelligente. Dimore che ci restituiscono gli odori e i sapori, le penombre e le ispirazioni della loro vita quotidiana. Lo scrittoio, la libreria, il salotto ma anche gli angoli e gli sgabuzzini, i souvenir o i quadri appesi al muro, ce li avvicinano in un racconto, non codificato nei caratteri tipografici, ma disperso e trattenuto nello spazio che hanno abitato.

A casa di Vann'Antò
Vann’Antò e Salvatore Pugliatti (a sinistra)

Mi incuriosisce quella del conterraneo Vann’Antò, che da domani, per alcuni giorni, si schiude alla nostra curiosità.

Giovanni Antonio Di Giacomo (Vann’Antò) nasceva a Ragusa centotrenta anni fa, il 24 agosto 1891. Letterato, poeta animatore culturale ma principalmente innamorato della lingua e cultura siciliana e in particolare del dialetto natio, quello ragusano. Il modo con cui comunicò attraverso l’insegnamento, la ricerca e la promozione di attività culturali fu carico di entusiasmo e passione, per nulla provinciale. I suoi compagni di studio a Messina furono Giorgio La Pira, Salvatore Quasimodo, Salvatore Pugliatti.

A casa di Vann'Antò, 'a pici
Copertina del poemetto A pici. Un disegno di Giovanni Biazzo (a destra)

Il Vann’Antò poeta de La pici lo scrittore e il docente universitario, il provveditore agli Studi di Ragusa che comunicava col corpo docente e i funzionari in versi, l’animatore culturale dinamico e giocoso, aleggia nelle antiche stanze e tra gli arredi retrò della casina di campagna, suo rifugio e approdo estivo. E ne potrete ascoltare il racconto: empatico e travolgente dal Prof. Giorgio Flaccavento; poeticamente musicale ma saldamente filologico da Stefano Vaccaro; incrinato dall’emozione ma pervaso d’affetto dalla pronipote Amalia Antoci. Vi faranno da guide il 21 e il 23 agosto, nella campagna adiacente, nella casa di villeggiatura del poeta, ma specialmente tra le stanze e gli arredi dove spira ancora la poesia e l’amore per la sua terra e gli uomini che conobbe e incontrò.

A casa di Vann'Antò, ritratto
Renato Guttuso, Contadino siciliano (in Vann’Anto, U Vascidduzzu)

Sono una grande risorsa i poeti e gli scrittori; anche quando non ci sono più, il loro spirito guida sopravvive nelle parole e nelle cose che hanno incontrato. E non va sottovalutato il potere eversivo del loro pensiero: «Amo le parole disposte in fila ordinatamente come un esercito compatto. Ma amo la scrittura irregolare, anche quella di Marinetti nelle sue parole in libertà… disordinata e impetuosa come un popolo in rivoluzione… voglio servirmi di una scrittura speciale».

A casa di Vann'Antò
Locandina dell’evento (a sinistra). Giovanni Antonio Di Giacomo, Vann’Antò (a destra)