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rigenerazione urbana

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Rigenerazione urbana: locuzione che, traducendo dall’inglese “urban regeneration”, designa i programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare alla scala urbana che puntano a garantire qualità e sicurezza dell’abitare sia dal punto di vista sociale sia ambientale, in particolare nelle periferie più degradate. Si tratta di interventi che, rivolgendosi al patrimonio edilizio preesistente, limitano il consumo di territorio salvaguardando il paesaggio e l’ambiente; attenti alla sostenibilità […] in modo da ottenere un complessivo innalzamento della qualità della vita degli abitanti.”
(Vocabolario Treccani)

di Federico Noto

Al fine di interpretare nel miglior modo il fenomeno della rigenerazione urbana, ma soprattutto per non confonderlo con l’”urban renewal” (rinnovamento urbano), vorrei portare all’attenzione del lettore tre esempi riusciti:

Caso Matera
È uno dei tentativi più emblematici di riappropriarsi del centro storico e del valore identitario che rappresenta per un’intera comunità. Caratterizzato da un’architettura povera, cruda, realizzata in tufo bianco, quasi una baraccopoli in pietra nella quale le abitazioni si intrecciano mirabilmente con un complesso sistema di sentieri e grotte naturali o artificiali.
È balzata agli onori della cronaca grazie al famoso romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli” e venne definita dalle cronache del tempo una vergogna nazionale. Nel 1952 il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi emanò addirittura una “Legge speciale per lo sfollamento dei Sassi”, con la quale circa 20.000 residenti vennero trasferiti in periferia.

Panorama dei sassi di Matera (foto Gigi Parentini da Wikipedia)

In seguito, grazie al cinema e poi all’intervento dell’Unesco, che ha ricompreso i Sassi quale Patrimonio Mondiale dell’Umanità, si è innescato un processo virtuoso di ripopolamento del vecchio tessuto urbano. Ad oggi Matera risulta una delle città più visitate d’Italia, con un flusso turistico di qualità ed il suo centro storico è un pullulare di bar, ristoranti, negozi e strutture ricettive di lusso.

(foto Tango7174 da Wikipedia)

Lo stile povero originario del luogo non è stato intaccato, grazie ad interventi appropriati e volti ad esaltare l’unicità del paesaggio grottesco. È la dimostrazione che il ripopolamento dei centri storici spesso è un fattore culturale e di riconoscimento della forte identità dei luoghi. Qualcosa di simile è accaduto anche a Scicli nel colle di San Matteo, oggi Patrimonio Unesco anch’esso. All’epoca altro caso di vergogna nazionale che le cronache del 1959 definirono come gli “aggrottati di Chiafura”.

Caso Salemi
Qui la storia è differente e la rivitalizzazione del centro storico è tema ancora aperto.
Nel gennaio 1968 un forte evento sismico interessò i territori del Belice e rase quasi al suolo Gibellina e Salemi. La conseguenza fu l’abbandono del centro storico di origini arabo-normanne e la nascita in periferia di una nuova città.
Il borgo rimase in una situazione di stallo per molti anni, e lo stesso edificio della Chiesa Madre, in parte crollato, lasciato per anni all’azione disgregatrice degli agenti atmosferici, diventò un rudere. Il tentativo di recupero iniziò molti anni dopo con un workshop nato dalla collaborazione della facoltà di Architettura di Palermo e due grandi progettisti: Alvaro Siza e Roberto Collovà.

Salemi distrutta dal terremoto del 1968 (foto piolatorre.it)

Sono stati realizzati interventi minimi e quasi chirurgici nel tessuto urbano, agendo soprattutto sulla riprogettazione delle soglie d’ingresso alle abitazioni e degli spazi di connessione tra i vuoti urbani interni al borgo.
Si decise di intervenire anche sui resti della Chiesa Madre, preferendo alla ricostruzione  l’esaltazione della memoria e convertendo l’area in spazio pubblico. Il catino absidale è stato mantenuto, ed è diventato una pala scenica per la nuova piazza che si è venuta a creare. Anche le colonne superstiti sono state riutilizzate per creare continue connessioni con il passato dal quale la nuova piazza è rinata.

Il duomo di Salemi immediatamente dopo il terremoto e come appare oggi (foto leviedei tesori.com)

L’intervento su Salemi, è un nuova modalità di approccio alla tematica dello spopolamento e si è cercato di concentrare l’attenzione sul tentativo di ridonare qualità allo spazio pubblico per porre le condizioni del successivo processo di rivitalizzazione del centro storico.
Al convegno internazionale “Piazze d’Europa”, l’intervento di riqualificazione dello spazio pubblico e della Chiesa Madre, realizzato da Siza e Collovà, è stato considerato tra i 60 buoni esempi mondiali di progettazione, riqualificazione e realizzazione urbanistica.

La piazza del duomo crollato di Salemi (foto Wikipedia)

Caso Favara
Le modalità di riqualificazione e rivitalizzazione del tessuto storico cambiano radicalmente rispetto ai casi precedenti. Favara si trova a pochi passi dalla Valle dei Templi e nonostante la sua storia vanta tracce di insediamenti fin dal periodo preistorico, testimonianze medioevali della famiglia normanna dei Chiaramonte, in realtà la città era conosciuta soprattutto per storie di mafia e per l’abusivismo edilizio dilagante in tutto il territorio.

Il centro storico, di impianto arabo normanno, è caratterizzato da un sistema di cortili e strade con sezioni ridotte che si articolano tra gli edifici residenziali. Anche in questo caso la zona del centro storico stava subendo un processo di abbandono che tendeva a crescere in modo sempre più esponenziale. Nel 2010 però, grazie all’opera di un privato, il notaio Andrea Bartoli, si è avuto un cambio radicale di rotta. È Iniziata l’opera di rigenerazione urbana dei sette cortili: un ecosistema urbano di spazi interconnessi davvero singolare.

(Foto da farmculturalpark.com)

Nasce così l’idea del “Farm Cultural Park”, un Centro Culturale di nuova generazione, nel quale la cultura diventa strumento nobile per ridare dignità ad un tessuto urbano gravemente degradato e con essa un presente ed un futuro. Il Farm è un concentrato di contemporaneità: la rigenerazione dei cortili è stata realizzata tramite interventi provocatori, volutamente eccessivi ed eterogenei.
L’utilizzo dell’urban art e di installazioni temporanee, sia all’interno che all’esterno, è stato più volte (e curiosamente) criticato come un’azione deturpante (ma si ha l’idea di cosa fosse prima?). Comunque ha avuto un grande successo di pubblico con l’innesco di grossi flussi turistici e culturali a livello mondiale.

Ad oggi il Farm Cultural Park è un polo museale che ospita al suo interno residenze per artisti, ha stretto collaborazioni con noti architetti di fama internazionale, ha fatto da incubatore per diverse imprese e start-up  ed è diventato fulcro della movida agrigentina che anima le notti all’interno dei cortili.
È una concezione radicalmente nuova di rigenerazione, nella quale l’arte è stata considerata assolutamente centrale nel dare nuova vita al tessuto urbano abbandonato, capace di suscitare l’interesse di altri privati verso i tessuti urbani adiacenti.
Tra i molteplici riconoscimenti avuti tra i siti di arte contemporanea a livello planetario è considerata, per importanza, al sesto posto nel mondo.

Concludendo, deve essere chiaro a tutti che il concetto di rigenerazione urbana non è soltanto il prodotto di una serie di interventi, ma un vero e proprio processo virtuoso e sostenibile nel tempo, che ha uno sviluppo ecologico, trasversale, sociale e infrastrutturale estremamente complesso e spesso non attuabile nella sua più ampia definizione. Non solamente è declinato secondo i termini della convenienza economica privata, ma altrettanto lo è nei temi relativi alla cubatura zero riguardanti l’accessibilità, la mobilità urbana, le infrastrutture e nella valorizzazione dell’immateriale identità che lo contraddistingue.

di L’Alieno

Nel diagramma piatto di una noiosa campagna elettorale, sabato scorso, a Chiaramonte, un interessante evento politico-culturale ha un po’ rotto la monotonia. Onore al merito per Miriana Iacono, Giovanni Garretto e l’Associazione PassoPasso che lo hanno ideato e organizzato.

L’evento riguardava la “rigenerazione urbana”, con la presenza di due relatori di alto livello. Uno nostrano, Vincenzo Cascone, ideatore dell’originale “FestiWall” di Ragusa, l’altro il prof. Gianni Di Matteo, tra i protagonisti del “miracolo” del “Farm Cultural Park” di Favara. Due esperienze a confronto di successo, un unico scopo: “riattivare” le energie spente dei contesti urbani in crisi.

Alcuni momenti del “Talk” organizzato da Miriana Iacono e Giovanni Garretto. Il prof. Gianni Di Matteo (a destra) e Vincenzo Cascone (sotto a sx con il microfono in mano)

Già, contesti urbani in crisi. Chiaramonte lo è? Si che lo è. Paesino di anziani alle prese, da anni, con un evidente problema demografico e di fuga di giovani cervelli. Questione destinata in futuro a diventare sempre più pressante. Una città con una porzione di centro storico già svuotato (San Giovanni).

Chiaramonte Gulfi. Il quartiere storico “svuotato” di San Giovanni

Da anni la politica si riempie la bocca di offerte strabilianti dell’enogastronomia locale, dell’olio dop, dei musei e di eventi (più o meno) culturali come di un presunto fantastico volano per una crescita turistica che salverà la città dall’oblio. Pie illusioni. Niente di tutto ciò ha salvato e salverà niente, anche se rappresentano un’eccellenza. Ma è un’eccellenza che non fa la differenza in una Sicilia di eccellenze. Niente che non si possa trovare anche in tanti altri posti della nostra isola.

Ragusa. L’arte dei murales del “FestiWall” che ha richiamato i migliori artisti del settore da tutto il mondo

Non è un invito alla resa. Tutt’altro. Ma un’esortazione a cambiare strada. Percorrere sentieri nuovi, originali, come è successo a Favara con la “Farm Cultural Park”, che ha trasformato un luogo abbandonato da Dio e dagli uomini nel posto più visitato della provincia di Agrigento dopo la Valle dei Templi. 120.000 presenze all’anno. Un tessuto urbano “riattivato” grazie all’arte. Ingredienti? Creatività, coraggio e un pizzico di follia.

Il “miracolo” della “Farm Cultural Park” di Favara. Oggi considerato, per importanza, sesto luogo al mondo per l’arte contemporanea

Nel quartiere storico di San Giovanni si potrebbe pensare a qualcosa del genere, contestualizzandolo e reinterpretandolo nella diversa realtà dei luoghi, anche alla luce di ciò che ha scritto Maurizio Di Gregorio qualche giorno fa su questo stesso blog. L’esperienza “FestiWall” invece potrebbe far nascere qualche buona idea per dare nuova vita e immagine all’orribile “muraglia” di condomini di Corso Kennedy.
Ecco il senso dell’incontro di sabato scorso: battere nuovi sentieri. Affidarsi all’arte e all’estro creativo per risolvere problemi mai risolti.

Un tratto della “muraglia” di Corso Kennedy a Chiaramonte. Terribilmente impattante per i visitatori che vengono dalla pianura (foto ragusanews.com)