di Giuseppe Cultrera
La festa di S. Giuseppe a Chiaramonte aveva luogo in chiesa. Difatti, a differenza delle altre, la statua lignea del Patriarca non veniva condotta in processione nelle vie del paese ma “solennizzata” nella sua chiesa. All’aperto, nella piazza principale a pochi metri dalla chiesa, si svolgeva invece la “cena”, la vendita all’incanto dei doni offerti a San Giuseppe. Caratteristica e rinomata, ma scomparsa dal dopoguerra. Sono rimaste invece quelle relative alle feste di San Giovanni Battista e del Salvatore.

Il protagonista assoluto era il banditore, personaggio popolare, eccentrico e solare nello stesso tempo, capace di ammaliare l’uditorio e di condurlo scherzosamente a depositare nella cassa del comitato dei festeggiamenti un’offerta il più cospicua possibile. Non era il valore intrinseco dell’oggetto, della selvaggina o del manicaretto che metteva all’incanto, a determinare l’entità dell’offerta, ma il rituale nel quale erano coinvolti attivamente gli astanti: la battuta estemporanea, il “duello” tra due contendenti abilmente stimolati. Insomma era teatro, empatia, corale rappresentazione.

Due di costoro, ultimi aedi del mondo contadino e popolare di Chiaramonte, furono don Giovanni Iannizzotto (Cacicio) e don Paolino Azzara, elemento portante della banda musicale.
Due foto della seconda metà del secolo scorso immortalano la vendita all’incanto dei doni offerti per la festa del Salvatore: su un palchetto improvvisato don Paolino Azzara invoglia il pubblico a fare una offerta per un bel coniglio e un agnello, spauriti dal vocio, che Vannino Arena (mitica spalla del banditore) mostra agli astanti.

Oggi altri segni e rituali animano il tempo festivo (forse più accattivanti, ma spesso più alienanti). Siamo proprio sicuri che la religio rusticorum vada ‘rottamata’ come sovrastruttura o inutile anticaglia?
Foto del banner: Giovanni Noto.