di Letizia Dimartino
Trenta anni fa nella nostra casa di campagna, circondata da muri a secco tipici ragusani, venne in estate un uomo che li sapeva riparare. Era naturalmente senza età, con la schiena sempre piegata. Non si raddrizzava mai. Lavorava durante la controra. Noi stavamo a letto, le persiane abbassate, il silenzio caldo intorno. E lo sentivo che parlava. Sapevo che non c’era nessuno oltre lui. Mi alzai e uscii sulla veranda per sincerarmi. Stava piegato con un arnese tenendo nell’altra mano una grossa pietra e le parlava, dicendole in dialetto: vieni qui, non avere paura, resta ferma, non ti faccio male, vuoi carezze? Aspetta e vedrai che ti farò bella.
Restai interdetta. Tutto il pomeriggio ebbe un colloquio ad alta voce con le pietre grigie e porose e mute. Erano la sua vita. Adesso noi parliamo invece con i computer, ho visto e sentito un mio collega bistrattare il proprio e adirarsi con lui allo stesso modo di quell’artigiano antico.
E così il mondo in trenta anni è cambiato. Ma forse ancora chi scolpisce la pietra parlerà nei pomeriggi e farà carezze, chissà.

Foto banner e social Giulio Lettica