di Andreina Iebole.
Il turismo pandemico esisteva già molto prima dell’arrivo del virus che ha sconvolto il pianeta e che probabilmente cambierà anche il nostro modo di affrontare la vita. Negli ultimi decenni la globalizzazione ha reso il mondo molto più piccolo e vicino. Anche i luoghi più remoti sono raggiungibili con facilità. Si viaggia con l’aereo, l’auto, il treno e la nave ma anche solo connettendosi su qualsiasi sito online e sui social, sulle riviste. L’informazione così minuziosa ci rende turisti ancor prima di spostarci. E i luoghi da visitare sono conosciuti già prima di essere raggiunti.
Spesso l’imprevedibilità che, nel passato, accompagnava la voglia di evadere è stata sostituita dalla necessità di una vacanza senza troppe sorprese. Nulla è più sconosciuto. Il viaggio come scoperta e esplorazione è terminato da tempo. E il concetto di ferie inteso come riposo di chi lavora è stato modificato in esigenza di lasciare la propria abitazione per conquistare la meta dei propri sogni. Spesso sottovalutando che il luogo da raggiungere è la fotocopia di ciò che lasciamo: confusione e stress.
La moltiplicazioni di offerte ha cancellato l’unicità. I servizi proposti sulle spiagge sono uguali ovunque, le attività commerciali dei centri storici sono le medesime da Milano a Palermo e non solo. Le stanze d’albergo sono analoghe, solo il panorama scorto dalle finestre rammenta dove si sta soggiornando…
Gli agriturismo sono un ibrido in cui la finzione agricola è superata di gran lunga dalla realtà turistica. I bar offrono pietanze come i ristoranti e questi ultimi diventano pizzerie in cui tutto ciò che riguarda il cibo è lecito. Le iniziative commerciali sovente sono dettate dalla riduzione ossessiva dei costi (mascherati dalla quantità della proposta) a discapito della qualità. La ricerca costante di accontentare tutti e di acquisire il maggior numero di clienti ha fatto perdere di vista la tipicità. Ciò che rende l’uno diverso dall’altro. Un luogo differente dall’altro.
ll lungo periodo di pausa forzata e le conseguenti disposizioni sanitarie ci obbligano a riconsiderare il modo di viaggiare e di accogliere. Potrebbe essere un’occasione da non perdere.
Molti sono gli stop e i divieti che dobbiamo osservare e ciò ci obbliga a una maggiore attenzione per gli altri e per noi stessi. Significa quindi, per molti che operano nel turismo, ridurre gli spazi di ospitalità. Quella rimpicciolita superficie consentita dovrà essere arricchita di esperienze.
La ripartenza comincia dal rendersi realmente aderenti al territorio. Guardare alle propria matrice creando un’offerta che non scimmiotti quella degli altri, senza finzioni e scorciatoie.
La tradizione da cui si deve partire deve essere sprone per un presente e un futuro in cui l’accoglienza sarà paradossalmente più intima e più diretta. Tagliata su misura per ogni ospite.
Il territorio chiaramontano così schivo, vicino e al contempo lontano dal bailamme del turismo delle città barocche, delle lunghe distese di sabbia, dell’ovvietà della sicilianità deve ricostruirsi sulle sue peculiarità: l’agricoltura, la quiete del paesaggio, la cucina montana. Ciò che ammalia chi ci arriva è la sua timidezza, la sua discrezione rispetto a cotanta esuberanza siciliana.
Andreina Iebole, ligure, interior designer, insieme al marito Maurizio Di Gregorio, catanese verace, giornalista, gestiscono un piccolo gioiello: “n’orma”: un baglio contadino costituito da una sovrapposizione di edifici tipici che domina due ettari di terra tra ulivi, vigna, cipressi, carrubi, mandorli, aranci e limoni, che lo custodiscono agli occhi indiscreti. Qui è possibile trascorrere una vacanza realmente alternativa immersi nel silenzio della bella campagna chiaramontana
(crediti delle foto: Veduta dalla terrazza, ‘N’orma’; veduta panoramica della casa, Fausto Mazza photographer; interno camera 15, Fausto Mazza photographer; Veduta notturna dell’ingresso, Fausto Mazza photographer)