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di Vito Castagna

Il 15 dicembre ricorreva l’anniversario di Ultimo tango a Parigi, un film che a causa di un’accanita censura entrò nell’immaginario collettivo.
Era il 1972 quando Bertolucci cominciò a infrangere con la sua pellicola numerosi tabù sessuali, rivedendo nel sesso una forza primitiva in grado di travolgere qualsiasi freno sociale.

Marlon Brando e Maria Schneider in “Ultimo tango a Parigi”

Gli amplessi tra Marlon Brando e Maria Schneider scalfivano la corazza del pudore quanto quella dell’ordine civile. La critica era chiara: ad un uomo solo e perduto, inserito in un mondo di apparenti vincenti, non resta altro che espletare i propri impulsi per dimostrare di essere vivo.
Un messaggio che sintetizzerei con un’infelice storpiatura: “Scopo, quindi esisto”.

A sostenere la censura vi furono diversi critici. Tra tutti, spicca Goffredo Fofi che affermò di preferire al film di Bertolucci una sua parodia, Ultimo tango a Zagarol, diretto da Nando Cicero e uscito nelle sale nel 1973.

Ironia della sorte, la pellicola di Cicero ebbe un successo che superò l’originale, ottenendo il plauso del pubblico. Per chi ha potuto ammirare il capolavoro di Bertolucci questo potrà apparire assurdo. Eppure, la parodia si presenta molto più ricca di contenuto di quanto non sembri. 

Locandina di “Ultimo tango a Zagarol”

Innanzitutto, sulla scelta del protagonista. Così come Bertolucci aveva voluto svestire Brando dai panni del divo, Cicero affidò il ruolo di protagonista a Franco Franchi, caricatura del divo-antidivo americano. Quest’ultimo ha una abbigliamento che rispecchia fedelmente l’originale: pantaloni grigi, maglione con scollo a V o dolcevita bianco e il celebre cappotto color cammello.

Ma se Brando subisce i suoi impulsi sessuali, Franchi è disperatamente affamato di cibo. Non a caso, due bisogni primari, strettamente collegati. Infatti, il peccato di gola può riferirsi benissimo all’ambito culinario e a quello sessuale. 

Franchi non può di certo essere immune a questo binomio e la sua astinenza da cibi sostanziosi avviene anche nei confronti della “carne”. Egli è astinente e passivo, così come si mostra nell’incontro-amplesso con Martine Beswick, controparte della Schneider, nel quale la cerniera dei suoi pantaloni resta inesorabilmente bloccata.

 

Martine Beswick

La Beswick, invece, è tutt’altro che passiva e conduce un rapporto di completa sottomissione nei confronti del protagonista. In questo modo, Cicero ribalta la prospettiva di Bertolucci, che aveva affidato il ruolo di personaggio attivo e dominante a Brando.

Lo spostamento di vedute si palesa nell’iconica scena del burro, che tanti guai causò ad Ultimo tango a Parigi. Nella versione di Zagarolo, Franchi disinnesca il possibile rapporto sessuale, sotto lo sguardo scontento della Beswick. 

Infine, la regista, interpretata da Franca Valeri, sembra essere la raffigurazione stessa di Bertolucci. Con la sua telecamera oltrepassa la barriera dell’intimità e, con una battuta sagace, anticipa un dialogo di un altro film del maestro parmense, The dreamers (2003): “Il regista è come un guardone”. 

Martine Beswick e Franco Franchi

Inoltre, costringe Franchi a prove inaspettate e pericolose. Elemento che ricorda la scena del burro, l’amplesso che la Schneider dovette subire a sua insaputa. Su questo fatto Bertolucci dirà: “Io non le avevo spiegato a che cosa doveva servire quel burro portato in scena, pensavo che la sua reazione spontanea sarebbe stata molto forte, ma per lei fu uno choc”.

Goliardica interpretazione, pellicola giambica, Ultimo tango a Zagarol dimostra di aver colto appieno i significati nascosti del film di Bertolucci. Sembra che il regista stesso se ne sia compiaciuto. Gli amplessi romani di Franco Franchi dimostrano quanto in fondo non prendersi troppo sul serio possa far nascere lavori non indifferenti che, come in questo caso, riescono a rievocare film nati con ben altri scopi.

Marlon Brando in “Ultimo tango a Parigi”

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