di Giuseppe Cultrera
Santi Nicosia era un bambino di dieci anni finito a fare il pastorello nel bosco di Mazzarrone perché, figlio di poverissimi contadini e per colmo di malasorte orfano del padre dalla nascita, fu affidato al nonno Vito, trappitaro altrettanto disagiato tanto da essere costretto ad adduvàre il nipote da un pecoraio. Adesso solo nel bosco e spaventato da un violento temporale piangeva rannicchiato dietro un masso.
Lo trovò così un vetturale di passaggio da quelle parti che, preso da compassione, lo condusse con sé in paese e lo riconsegnò al nonno con la raccomandazione di trovargli un lavoro più adatto alla sua tenera età.
Fu così che il piccolo inesperto pecoraio, preso a benvolere dai sacerdoti fratelli Terlato, prima fu alunno nella loro scuola primaria e poi novizio cappuccino a Sortino dove proseguì gli studi superiori acquisendo la conoscenza del latino e dei classici e mutando il nome in Samuele, come era prassi nell’ordine francescano.

P. Samuele Nicosia (Chiaramonte 1842 – ivi 1910) divenne oltre che rilevante personaggio dell’ordine francescano (tre volte provinciale) un apprezzato scrittore. Inviato nel convento di Chiaramonte, sua città natale, vi esplicò il ministero religioso con impegno ed amore: amore per il prossimo, specie i derelitti, ma anche per la storia e la cultura di quei luoghi.
Il convento dei Cappuccini era stato fondato nel XVI secolo e adesso occupava una vasta porzione del margine occidentale dell’abitato prospettante sulla vallata con un affaccio panoramico rinomato tra i viaggiatori come balcone del Val di Noto. Così l’aveva definito e descritto anche Paolo Balsamo nel suo Viaggio nella Contea di Modica del 1808.
Ma al giovane e dinamico frate interessava più l’impegno sociale e culturale nella sua comunità e nel suo tempo; che era particolarmente esaltante adesso che si realizzava l’unità della nazione e si modernizzavano strutture politiche ed economiche. Egli stesso aveva partecipato a questa rivoluzione, era stato come molti notabili intellettuali e religiosi di Chiaramonte adepto della locale Carboneria, aveva salutato con entusiasmo la conquista della Sicilia da parte di Garibaldi e la caduta del vecchio regime. Perciò grande fu la sorpresa e rabbia per le “famigerate leggi eversive” che soppressero nel 1866 le comunità religiose: lo scriverà con pacato e, allo stesso tempo, vibrato sdegno, nel relativo capitolo della sua opera storica più impegnativa, le Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi.
«A 16 ottobre (1866) ci venne intimato di abbandonare i conventi ed anche le tonache. In Chiaramonte erano sei Comunità regolari, due di Moniali, Benedettine e Teresiane e quattro di frati, Conventuali, Carmelitani, Minori Riformati e Cappuccini. Queste quattro comunità la sera del 25 ottobre furono costrette a sciogliersi, a lasciare i sacri chiostri che la pietà del popolo avea loro edificato, e a ritirarsi in casa di qualche parente od amico. L’indomani tutti comparvero trasformati in preti secolari…»

Il giovane Nicosia sceglie di rientrare a casa dove la sua famiglia, la madre due giovani sorelle e un fratellino, vivono in stato di totale indigenza. Don Santo (adesso così lo chiamano i compaesani, essendo un comune sacerdote) divide il suo impegno lavorativo e ministeriale tra i suoi familiari e la popolazione, riserva a sé stesso l’esiguo tempo rimanente dedicandosi alla sua passione, lo studio e la ricerca storica.
L’incontro e l’amicizia col colto prelato don Vito Corallo (Chiaramonte 1794 – 1877), ormai avanti negli anni, ma che era stato un abile oratore, un forbito scrittore di cose sacre e di ricerca storica, pubblicando numerosi volumi, lo stimolò ed arricchì, facendogli nascere la passione per la ricerca storica e la scrittura.
Ed è in questo periodo di “forzata inattività” che nasce la storia della sua città che «è stata sempre desiderata ma niuno vi ha posto mano».
Nel 1882 presso la tipografia Piccitto & Antoci di Ragusa stampa le Notizie storiche su Chiaramonte Gulfi, che hanno immediato riscontro negli intellettuali iblei, la maggior parte suoi amici o con i quali aveva corrisposto o corrispondeva, come Raffaele Solarino, sindaco di Ragusa ed autore de La contea di Modica (1885) che rilevava la valenza dell’opera scrivendogli: «E’ un lavoro paziente e coscienzioso; minuziosi i dettagli sulle fondazioni pie e sugli istituti ecclesiastici; pregevoli i documenti comprovanti i diritti del pascolo al periodo feudale; esatte le riflessioni con le quali, correggendomi in parte, stabilisce Acrilla…»

In effetti alcuni documenti relativi alle antiche consuetudini gli erano stati forniti dal Guastella (Chiaramonte, 1819 – 1899) che, in quel periodo docente a Modica, li aveva per lui ricercato negli archivi della Contea: infatti usualmente il colto barone chiaramontano con cortese disponibilità riforniva studiosi (vedi il Pitrè e Salomone Marino a Palermo) e amici di materiali storici ed etnografici della Contea.
Con meno prodigalità e, forse, con un pizzico d’invidia, si approcciavano al frate scrittore gli altri memorialisti compaesani e coevi: il barone Corrado Melfi (Chiaramonte 1850 – 1940) autore anche lui di una storia patria (Cenni storici su Chiaramonte Gulfi 1912) il litografo Giuseppe Puccio, autore di Cenni corografici su Chiaramonte nel 1908, e il Sacerdote Raffaele Ventura (Chiaramonte 1835 – 1910) che però non riuscì a pubblicare la sua Storia critica di Chiaramonte proprio perché il possibile finanziatore – il Municipio – aveva già sovvenzionato l’opera del Nicosia qualche anno prima.
Ma l’intento del frate era etico e morale, scevro da ambizioni e primati culturali:
«La patria amar non si deve perché ricca, potente e di molta importanza, ma perché vi sortimmo i natali, perché vi albergano i nostri parenti, i benefattori gli amici, o vi sono sepolti i loro avanzi; perché in fine da essa, come da madre tenerissima, ricevemmo educazione e istruzione, lavoro e nutrimento. (…). Mostrare quindi ai propri concittadini le morali virtù l’operosità, il verace patriottismo di coloro che li precedettero, incoraggiarli con ciò nell’imitazione dei medesimi, premunirli dietro il loro esempio contro l’egoismo, l’ignoranza, l’inerzia, l’incredulità, cancrene sociali, non è opera benemerita della patria? E questa è l’opera che io ho inteso compiere nel raccogliere e pubblicare le Notizie Storiche su Chiaramonte».
Tuttavia, la scrittura era parentesi e ripiego nel suo ministero, specie ora che era ritornato religioso e nelle altre città si riaprivano i conventi; e il suo pensiero era riacquistare il convento di Chiaramonte (a seguito della confisca diventato proprietà del comune e in parte carcere) e ricomporre la comunità dispersa. Ci riuscì a costo di lunghe battaglie e sacrifici economici, e grazie alle donazioni di parecchi benefattori, nel 1884.
Ma lui ormai era sempre meno presente a Chiaramonte: chiamato come si diceva allora “a più alti incarichi” prima definitore poi provinciale (per ben tre volte), era sempre in giro per i vari conventi della Sicilia centro orientale. A reggere il convento di Chiaramonte destinò un suo giovane discepolo P. Samuele Cultrera, anch’egli originario di Chiaramonte: sarà costui a raccogliere l’eredità di storiografo dell’ordine e scriverne la biografia (P. Samuele Nicosia da Chiaramonte, cappuccino, 1930).

Nell’ultimo ventennio del XIX secolo la sua presenza nel territorio e nel sociale è determinante: per ricostruire le comunità monastiche, ricucire gli strappi, mediare tra clero secolare e religioso, affrontare la sfida di un nuovo e difficile rapporto col potere politico, pervaso da laicismo e da istanze sociali che invitavano ad un approccio più moderno nell’esplicare il ministero religioso. Mentre uguali, se non più dure, tempèrie agitavano la Chiesa romana costretta a rapportarsi con uno Stato non più subalterno e neppure conciliante, bisognoso di dare risposte alle istanze della popolazione e ancor più della Chiesa preoccupato dal diffondersi del verbo positivista e dalle ideologie socialiste!
La sua opera più impegnativa Vita del precursore S. Giovanni Battisata (Ragusa, Piccitto & Antoci, 1892) nasce dentro tale disagio. Spunto, racconta il suo biografo, fu l’inaugurazione a Roma, nel 1889, della statua di Giordano Bruno in Campo dei Fiori e il discorso dell’on. Bovio teso ad «inaugurare la religione del libero pensiero».
Un lavoro che lo impegnò a lungo e che la mole – tre grossi volumi in ottavo – esplicita chiaramente.
Tornava alla storiografia con le Memorie storiche dei Frati Minori Cappuccini della Provincia monastica di Siracusa (Modica, Tip. Archimede, 1895), altro grosso volume con materiali e notizie inedite, desunte da documentazione di prima mano, sui vari conventi della provincia monastica, delle città dove erano ubicati i conventi, dei frati che si erano distinti per impegno religioso, sociale e culturale.
Il Nicosia è storico attento ma anche curioso, la sua scrittura è piana e sintetica, tesa a interessare il lettore. Anche se il testo ha intenti pedagogici formativi o di edificazione (un esempio è la Vita di S. Vito pubblicata a Ragusa da Piccitto & Antoci nel 1875), l’autore ha sempre presente il lettore che deve scorrere il testo con facilità, per poterne apprezzare e assimilare il contenuto.
Le sue pubblicazioni storiche si leggono come un racconto; ancor oggi, a distanza di un secolo e mezzo, possiamo esplorare o condividere frammenti del passato, usi e costumi, tormenti e gioie di persone comuni e personaggi di spicco, leggendo ad esempio le Notizie storiche su Chiaramonte, la sua opera più matura: i più fortunati nell’edizione originale di Piccitto & Antoci (1882) gli altri, nella bella riedizione anastatica, del 1995 (meritoria operazione culturale del Rotary Club di Ragusa presieduto, in quell’anno, dal dott. Carmelo Arezzo).