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Con chiunque tu parli, è immediatamente d’accordo
con te nel dover difendere… un monumento, una chiesa,
la facciata della chiesa, un campanile, un ponte, un rudere
il cui valore storico è ormai assodato ma nessuno si rende conto
che quello che va difeso è proprio… questo passato anonimo,
questo passato senza nome, questo passato popolare.
(Pier Paolo Pasolini)

di Grazia Dormiente

A Pozzallo ‘a Valata permane come denominazione altamente debitrice della “storia di Pozzallo”, del suo respiro mediterraneo e dei suoi cantieri navali, fucine attrezzate per garantire l’efficienza dei legni mercantili e pescherecci, ora risucchiati dal mare del tempo, da dove affiorano le memorie di avventurose traversate, disvelando l’idioma antico e spesso indecifrabile del mare nella storia della città, per dirlo con Borges.

(foto tratte dal sito vivipozzallo.it)

Essa rappresentava il centro propulsore del lavoro cantieristico e portuale con il fronte a mare attrezzato con pontili, i cui resti tuttora evocano le sonorità del ferro, del legno e del mare, dei bastimenti carichi di carrube in sintonia con le rotte mercantili della marineria pozzallese, purtroppo decimata dai due conflitti mondiali.

Velieri, armatori e padroni di barche scrissero i tratti immateriali della mediterraneità, che caratterizzavano il volto della città. L’attività cantieristica navale, che ha conferito a Pozzallo il primato della marineria nella Sicilia del sudest già alla fine dell’ottocento, annodava al legno e alla sua energia i segreti dei maestri d’ascia, come Pasquale Nizza, Emilio Amenta, Francesco Scala ed altri fino alla fine della seconda guerra mondiale.

(foto tratte dal sito vivipozzallo.it)

Ancora negli anni ottanta del Novecento gli eredi Amenta e Scala continuarono a vivificare l’interessante capitolo dei calafati, specialisti nella chiusura ermetica del fasciame, operazione di rilevante maestria per la sicurezza della navigazione, poiché riguardava gli interventi all’esterno dello scafo ligneo, soprattutto nell’opera viva, vale a dire nella parte destinata all’immersione.

Non era facile eseguire a regola d’arte tale operazione, poiché essa metteva alla prova, attraverso un paziente lavoro, le abilità tecniche dell’artigiano, che doveva possedere pure un orecchio ben educato alle tonalità del rimbombo prodotte dal sapiente ribattere della mazzuola lignea sulle paledde(scalpelli) per sentire nel sentiero buio dello scafo e senza alcuna approssimazione il limite di una sicura saturazione.

(Ph. Massimo Assenza)

Anche per tale motivo, il vecchio pescatore Francesco Palumbo ha raccontato che “quando sei o otto calafati, sistemati sui loro banchetti, battevano con le mazzuole per calafatare lo scafo dei bastimenti posteggiati nei vasi della Valata, si aveva la sensazione di ascoltare le esecuzioni di un’inconsueta orchestra”.

Poche, per non dire inesistenti, si rivelano le impronte scampate alla polvere del tempo e alla smemoratezza umana. Eppure da esse è scaturita l’attuale infrastruttura portuale, dove si percepisce l’eco delle traversate commerciali e fluttua all’orizzonte la voce della lunga e sofferta rotta dei migranti.

(Ph. Massimo Assenza)

Così la visione sinestetica di Massimo Assenza, il fotografo pozzallese attento interprete dei volti umani ed urbani, custoditi nel secolare archivio fotografico delle generazioni dei fotografi Assenza, racconta la città della memoria cancellata non solo come urbs ma come civitas, magari in nome dei valori e dell’amore alle proprie radici.

(Ph. Massimo Assenza)

Anche ciò che appare lontano nel tempo acquista senso perché è frutto di riflessione sulla città di oggi, che, trascurando spesso il suo vissuto quotidiano, non si preoccupa di custodire l’immagine collettiva della città, cioè comune a tutti i suoi abitanti: l’emblema della città nella maestosa vivibilità del mare, che calamitò l’attenzione di giornalisti e storici allorchè si adagiò alla Valata di Pozzallo il cutter inglese del 1914 Irene of Boston, ormeggiato nel 1988 nella stessa pietrosa Valata dove lentamente si smantellò per unirsi agli invisibili resti dei cantieri locali e dei legnosi relitti risucchiati dall’incuria umana.

Massimo Assenza nel suo cortometraggio ripercorre un cammino culturale, antropologico e ambientale con le sue immersive riprese visive, che segnalano la diffusa indifferenza, cui sembrano destinati il patrimonio culturale e il senso dei luoghi da ancorare ad una progettualità che faccia amare e tutelare anche il più piccolo frammento di città.

(Ph. Massimo Assenza)

Si ringrazia il fotografo Massimo Assenza per la collaborazione, il video e alcune delle foto.

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