di Giuseppe Cultrera
Era essenzialmente un affabulatore, Mimì Arezzo. E un operatore culturale. Anzi le due cose insieme, mediate da ironia e disincanto. Amava la gente. Incontrare più che scontrarsi (e la sua passione politica, nella maturità, si incanalò in questo solco). I libri, la scrittura, “la narrazione” della polvere del tempo degli uomini e delle pietre, furono la personale cifra etica.

In Una Ragusa da amare, la fortunata trasmissione televisiva che lo rese popolare non solo nella sua città ma nell’intero comprensorio ibleo, raccontava fatti storici, aneddoti, facezie, rievocava personaggi e momenti del tempo andato, con la levità di una favola per ragazzi. Con gli altri ospiti in studio, accomunati da ricordi e passioni comuni, quegli spunti trovavano sintesi e letture attuali e propositive: una topografia dell’anima di una comunità. Quella ragusana in primis, ma ogni altra di questo lembo estremo d’Italia, in definitiva.

Divennero sei volumi con lo stesso titolo; un prezioso scrigno di ricordi e di buon umore da centellinare come il buon vino o il buon cibo: perché della vita, come dicevano i nostri antichi, tolti gli affetti e i valori, solo questi barbàgli ci restano!
Della sua attività di editore, prima con Il Gattopardo e poi con la Mimì Arezzo, restano decine e decine di interessanti e intriganti volumi. Assieme facemmo Ragusa un secolo fa (1997) un album illustrato da antiche cartoline, del quale curò il testo introduttivo La polvere del tempo. Qualche giorno fa – a proposito di polvere del tempo – rassettando alcune carte ho trovato un opuscolo relativo a una mostra del libro all’interno di Ibla viva (ricordate?) nel lontano 1985: organizzata da lui, ospitava le piccole case editrici operanti nella provincia di Ragusa. Lo ricordo freneticamente diviso tra questa mostra, le serate al Pentagramma, altra sua creatura, e la cura dell’ennesima rivista (Il Giufà, mensile satirico, negli anni successivi fu una palestra per umoristi e grafici iblei).
Ci manca la sua vulcanica progettualità: ma ancor più il suo pacato disincanto etico e politico.

2 Comments
Era mio amico. In Consiglio comunale, dove siedevamo assieme ancorché in forze
politiche opposte, mi chiamava “Pippuzzu bedu”.
Persone speciale conosciuto grazie all’amicizia di suo figlio.