di Giuseppe Cultrera
Maggio 1938: Benito Mussolini dona una copia della Divina Commedia all’amico Adolf Hitler in visita ufficiale a Roma.
Agosto 1938: Esce il primo numero della rivista “La difesa della razza” diretta da Telesio Interlandi; in copertina, quale epigrafe, due versi di Dante tratti dalla terza cantica della Commedia.

L’uso improprio dell’opera non inficia il sommo poeta. Una lettura, anche superficiale, avrebbe sicuramente giovato ai tre. Non alla loro ideologia che si nutriva di compressione delle libertà, ossessivo nazionalismo, violenza e razzismo. E per obiettività storica, l’Interlandi era intellettuale e scrittore di vaglia; e della lingua e poesia di Dante si era nutrito. Evidentemente non bastava ad esorcizzare i demoni dell’intolleranza e della violenza che stanno accanto e spesso dentro di noi. Anche oggi.


3 Comments
Malgrado abbia manifestato il volto luciferino del potere, ho apprezzato molto la rivalutazione dell’Interlandi intellettuale e scrittore attorno col quale ebbero rapporti le migliori intelligenze della nostra cultura. Il suo stile è asciutto e non retorico come si possa pensare in riferimento alla squallida retorica del tempo. E bisogna leggere l’Interlandi del “Quadrivio” in quelle belle pagine dal gusto pirandelliano in cui rievoca la sua Chiaramonte con toni commoventi e intriganti. Singolare è per esempio il tratteggio della figura del “lampionaio” (‘U Lampiunaru), che tanto sarebbe piaciuta a Gesualdo Bufalino, il quale proprio con la specificazione di tale mestiere dà l’incipit alla prima sezione (“Mestieri scomparsi”) del suo “Museo d’ombre”. Interlandi, dunque: “Quand’era tempo di luna piena, e il disco argentato s’affacciava tardi dall’orlo dei monti, un uomo munito d’una lunga canna cava s’aggirava per tutto il paese, soffiando da terra nei lumi a petrolio nelle strade. Così grazie alla luna, l’amministrazione comunale realizzava un’economia di qualche mezzo litro di liquido, dopo avere coscienziosamente vagliato il pro e il contro, le spese della missione raffrontate alla misura dell’economia realizzata, non senza qualche lungo dibattito sull’ora più opportuna dell’inizio dell’operazione.” E sicuramente l’Interlandi dovette avere in mente i versi di Luigi Pirandello: “Lampioncini a petrolio, questa sera / riposo; c’è la luna che dal cielo / rischiara il borgo in vece vostra. Velo / non le faran le nuvole, si spera” (Zampogna, 1901). Il riferimento è a quella luna contemplata a lungo nell’infanzia prima che le lampade elettriche ne cancellassero del tutto la magica inondazione di luce sui volti e sulle facciate delle nostre case. Il lettore, attratto dai dati visivi che vivacizzano la descrizione, non può non avvertire la distanza dell’io narrante, già anziano e prossimo al congedo dalla vita, rispetto alle sue tracce memoriali: “Le sere d’inverno cadevano rigidamente ed il paese si spopolava e si serrava nelle case, dalle quali non trapelava un filo di luce; anche le voci erano rare e sommesse. Il passo dei viandanti ritardatari suonava sull’acciottolato; ma era sempre affrettato e breve. (…). Le giornate estive passavano nella gloria del sole e nel tripudio delle lucertole sui muri carichi di erbe selvatiche. Il paese era sempre deserto, perché gli abitanti accudivano ai lavori agricoli; e la piazza solitaria era piena di chiasso canoro d’un ciabattino, accampato col suo deschetto nella zona d’ombra ai piedi delle case, col suo merlo dall’ali tagliate zufolante fra i ritagli di cuoio; o dall’improvviso frastuono provocato dai calderai venuti da fuori, ad impiantare la loro rudimentale officina, coi grandi caldai rovesciati sull’asta di ferro e battuti in cadenza col martello sulla scorza dorata (…) Che fare? (…). Uscii dalla scena provinciale e iniziai il mio serrato dialogo coi libri.” Questo è stato anche Telesio Interlandi!
Difatti l’intellettuale e dinamico operatore culturale Interlandi interessò e incuriosì Leonardo Sciascia che decise di dedicargli uno scritto, purtroppo per l’improvvisa scomparsa mai portato a termine. Diede le carte con gli appunti e documenti al giudice Vitale che ne fece un racconto in “In questa notte del tempo” Sellerio 1999. Anche Giampiero Mughini (A via della Mercede c’era un razzista, Rizzoli,1991) tentò di sondare il personaggio.
Difficile in ogni caso dare un giudizio equilibrato di alcuni personaggi complessi e controversi: e questo in particolare. In ogni caso – ed è quello che volevo porre all’attenzione – la sua battaglia “culturale” sul razzismo e specialmente la famigerata rivista furono prodromi delle leggi razziali del 5 settembre 1938, e di tanto che ne conseguì, come tutti sappiamo. Il dibattito sul valore e lo spessore dello scrittore ed intellettuale deve tenerne conto.
L’essersi impossessato di Dante, ( per dare chissà perché
un “ maggiore spessore “(sic!!)all’ orrenda e squallida rivista, ne ha ulteriormente peggiorato e aggravato
il significato! Tutt’altra intenzione c’era nel SOMMO POETA! L’Interlandi , come d’altronde buona parte degli” intellettuali” dell’epoca,è stato consapevole e perfettamente conscio di quello che scriveva…(per un buon stipendio, una vita tranquilla, protetto dal regime
e in primiis dal Duce).Per l’attività Letteraria??
Pochissimo o niente affatto il riscontro …