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di Andrea Biglia

Luigi Gualdi, 1905, Vertova (Bergamo) – 1928, Colonia penale della Cayenne.
Era matricola 4906: omicidio, due tentati omicidi, furti aggravati, infrazione del provvedimento di espulsione…
 Una pagina fitta di reati tutti consumati in Francia dove era emigrato in cerca di lavoro a 18 anni. Un ragazzo come tanti, quarto figlio su 11 di umili contadini. Voleva aiutare il padre a comprare un asino per trasportare la legna.

La ghigliottina , data la giovanissima età, gli sarà commutata in lavori forzati a vita nei bagni penali della Cayenne, Guyana francese. Tenterà di scappare, sfonderà la cella dove era in isolamento, così sarà assegnato alla classe terza, gli “irrecuperabili”.

I condannati venivano radunati al porto di Saint Martin nel mar dei Caraibi (sopra) e stipati su navi che li trasportavano al largo, dove li attendeva la nave Martinière (sotto)

Il “Papillon della Valseriana”, che non ha personalmente ammazzato nel tentativo di rapina nella campagna francese che gli è costato il successivo calvario, ma era complice dell’assassino, non ha avuto modo di redimersi e scrivere – aveva la terza elementare – un bestseller seguito da film di successo come il Papillon “vero” con la rosa tatuata sul petto, Henri Charrière, sopravvissuto per 13 anni in quell’inferno prima della fuga avventurosa.

Henri Charrière, il Papillon “vero”, visse 13 anni in quell’inferno prima di fuggire

E’ morto di malaria in un isolotto sperduto nell’Atlantico: clima pessimo, seminudo a tagliare alberi nella giungla infestata di sepenti e alligatori, trattamento quasi da bestie – tutto già sperimentato, a fine ‘800, dal capitano Dreyfus.

Le tre isole del bagno penale al largo della Guyana francese, in Sud-America

A recuperarne la storia, rovistando fra documenti giudiziari, lettere, dispacci diplomatici, giornali – la vicenda aveva suscitato allarme, gendarmi per giorni a inseguire il “criminale italiano” e il complice killer, Dedé – ha provveduto il nipote Mario Gualdi, pensionato, che con il giornalista del “Giorno” Gabriele Moroni pubblica “Luigi Gualdi – Il Papillon Italiano” (Diarkos, pag 152, euro 16), prefazione del presidente dell’Ordine lombardo giornalisti Alessandro Galimberti.

Il nipote Mario Gualdi, con i documenti del processo

Idee socialiste, a lasciare la valle, oltre alla voglia di riscatto, lo aveva convinto l’aggressione subìta dai fascisti al Circolo Operaio di Vertova cui poi ha reagito, con gli interessi, a spese del caposquadra. A piedi a Bergamo, il treno per Marsiglia dove si favoleggiava di varie opportunità. Invece… Primo passo falso il furto di una bici, stremato com’era da spostamenti e occupazioni saltuarie.
In carcere a Gap l’incontro con Dedé, delinquente professionista, come lui poi spedito alla Cayenne. Una volta fuori, un bicchiere di vino insieme e subito “al lavoro”.

L’ingresso del carcere (sinistra) e quello per le celle dei condannati, oggi (ph Paolo Antinori)

La parabola penale di Luigi dietro a Dedé si brucia in pochissimi giorni: 2 dicembre 1924 i due spaccano la finestra di un mulino e rubano fucile e cartucce. Girovagano per l’Alta Provenza, Luigi con in tasca un revolver, l’altro la canna a tracolla fingendosi cacciatore. Una notte, per chiedere asilo, bussano alla fattoria di Albert Izoard, a tavola con la famiglia. L’uomo rifiuta, “Allora dei soldi”, grida Dedé. Un colpo di fucile e Izoard crolla esanime. Inizia la fuga. Rubano un cavallo, poi una carrozza giardinetta, spargono paura.

Il carcere in piena attività all’inizio del secolo XX

Sparatoria con due gendarmi in bici che li avvistano; di notte si rifugiano nella boscaglia anche per far riposare il cavallo, finché decidono di separarsi. Il 5 dicembre il destino di Luigi si incrocia con quello di Gaston Dominici che con il figlio Clovis si era gettato sulle loro tracce. Le armi cantano (chi ha sparato per primo, quanti colpi?), colluttazione sanguinosa, Dominici è salvo per miracolo. L’italiano riesce ad allontanarsi ma per lui, come per il complice restano poche ore di libertà. Quando i gendarmi lo scoprono e sparano Luigi getta a terra il revolver: “Mi arrendo”.

Condannati ai lavori forzati

Dopo la condanna tre settimane di viaggio con decine di altri detenuti in gabbie di acciaio nelle stive della nave-ergastolo diretta a Cayenne (la colonia penale, avviata nel 1854 da Napoleone III e distribuita su tre isolotti, ripuliva la Francia oltre che di pericolosi malviventi, di personaggi poco graditi, politici compresi). E’ l’inizio della nuova vita, cioè della morte. Chi non regge finisce nell’oceano, in pasto ai pescecani. Dedé si ribella, uccide una guardia ed è giustiziato davanti a tutti.

Le gabbie di acciaio nelle stive della nave-ergastolo diretta a Cayenne, in Sud-America

A Vertova giungono poche frammentarie notizie. Si muovono il sindaco, il segretario del partito fascista, enti religiosi per chiedere la grazia, mobilitato anche un diplomatico. Il padre Bernardo scrive al figlio raccomandando la “buona condotta…, c’è Dio che ti da la salute… tutti dobbiamo tribolare”.

Dal giovane la famiglia Gualdi riceve poche righe datate 27 giugno 1927, due mesi dopo l’arrivo alla colonia che sarà chiusa nel 1938. Le condizioni per cui sono passate almeno centomila persone, raccontate nel libro, ci riportano diritti al medioevo, anziché al XX secolo. Agli “irriducibili” per punizione previste celle come sepolcri, buie, umide, un metro e mezzo per due metri, ferri ai piedi, una pagnotta, una brocca, d’acqua, un po’ di minestra. Come tanti Luigi resiste poco: 14 mesi: denutrizione, percosse, malaria.

Le celle del carcere

Sulla stessa nave-ergastolo aveva viaggiato un altro personaggio della cronaca nera d’Oltralpe, Guglielmo Seznec, matricola 49302, accusato della morte di un amico – un omicidio senza cadavere – poi graziato dopo la battente campagna degli innocentisti. Lo stesso Gaston Dominici, trent’anni più tardi, ne aveva 75, ha aperto un suo conto con la giustizia francese per la mattanza di una famiglia inglese – padre, madre e figlia – in campeggio vicino alla sua fattoria. Pure a lui, la ghigliottina è stata commutata in carcere, anche per l’assenza di prove decisive – un pregiudizio le origini italiane? – e nel 1957 la grazia. Come gli affaire Dreyfus e Seznec, il caso Dominici ha riempito le prime pagine dei giornali (sul patriarca una tavola illustrata della Domenica del Corriere della Sera e un film con Jean Gabin).

Guglielmo Seznec, matricola 49302, accusato della morte di un amico

Il Papillon della Valseriana ha sfiorato tutti questi “gialli”, ma muore in solitudine nella colonia penale. Il 3 gennaio 1930, un anno e mezzo dopo, la comunicazione burocratica alla famiglia del decesso. Uno dei tanti cadaveri gettati senza nome in Atlantico. Il nipote Mario non ha trovato nemmeno una foto. Secondo i resoconti era di bassa statura, occhi accesi. Da piccolo, cadendo da un muro, aveva riportato una frattura cranica.

Il cimitero del bagno penale della Guyana Francese

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