di Pippo Inghilterra
Era una mattina d’estate di tanti anni fa, quando “giocai” a perdermi. Con un compagno decidemmo d’incamminarci lungo la trazzera che portava alla Torre di Canicarao, per andare a trovare il padre, che lavorava lì vicino.

All’inizio del viaggio incontrammo “i pupiddi ri scinnicaru“: due grosse sfere di pietra in cima a due pilastri “che segnarono e vietarono a lungo i confini del leggendario reame dei marchesi di Canicarao” (Bufalino). Si specchiano su quella realtà i libri della Sicilia barocca, che mi ricordavano la “Villa del Mostri”, dove Ferdinando Scianna esercitò, in quel teatro “d’opera dei pupi”, una singolare esperienza di fotografo.
Durante il cammino lungo la trazzera polverosa, delimitata da due muri a secco, che ogni tanto “cavalcavamo” per riposarci, osservavamo le dolci colline degli Iblei e la grande distesa di campagna, che si perdeva nella Valle dell’Ippari. Arrivati al Palazzo-Torre di Canicarao, ci siamo fermati sotto una quercia a osservare l’edificio cinto da misteriose mura: la facciata del palazzo aveva due torri laterali e una centrale, dove s’apriva un portale carraio.

La prima cosa che lo sguardo incontrava era una testa di saraceno, scolpita nella chiave dell’arco, con sopra uno stemma a forma di uccello con le ali dispiegate che contenevano uno scudo araldico, dov’erano scolpite a basso rilievo una stella e una scimitarra. Sopra questo stemma, ce n’era un altro simile, ma più grande proveniente dalla torre originaria, sicuramente presidio di difesa della contrada.
Il passo carraio s’apriva in un vasto cortile, con al centro l’acqua di una fontana, alimentata dalla sorgiva che scaturiva dalla collina soprastante.
I marchesi di Canicarao, probabilmente nei secoli XVIII-XIX decisero di ampliare il Palazzo signorile e di abitarci. Il palazzo viene attribuito al grande architetto Rosario Gagliardi, che operò a Comiso negli anni trenta del Settecento, ma può darsi che sia opera di più architetti, capimastri e scultori e che la sua realizzazione sia stata differita nel tempo.

Alla fine del viaggio arrivammo al casolare in cui lavorava il padre del mio compagno. Poi, da solo, al ritorno, mi confusi e persi la direzione. Un massaro s’accorse di questo bambino “sperso” e mi accompagnò col carretto a Comiso; a metà strada ci venne incontro una balilla nera, che mia madre aveva affittato per cercarmi. A casa, davanti alla porta, i vicini di casa mi fecero festa.
Ancora oggi mi sveglio la mattina dopo aver sognato di perdermi in una grande città, forse Palermo o Firenze, che da giovane attraversai negli anni migliori della mia vita.

Foto banner: Facciata del Palazzo del feudo di Canicarao (foto: Archivio storico comunale di Comiso, carpetta Ing. Vincenzo Lena)