di Giovanna Giallongo
Il 25 gennaio del 1882 nasceva a Londra, esattamente al civico 22 di Hyde Park, Adeline Virginia Stephen. Nessuno poteva immaginare quanto quella creatura ipersensibile e curiosa avrebbe influito nel panorama letterario inglese e non solo. Altrettanto certo è il fatto che nessuno avrebbe scommesso un solo misero penny su di lei. Come la storia e la vita spesso insegnano, mai dubitare delle capacità altrui a maggior ragione se la causa di questa sfiducia si basa su una discriminazione sessuale.
Lo stato di supposta figlia di un Dio minore che la società le attribuisce non la limiterà psicologicamente, al contrario, sarà per Virginia fortificazione della sua indole e della sua volontà. Divorerà la fornita libreria del padre Leslie Stephen – autore, storico e critico letterario – costruendo per sé un sapere autodidatta ma raffinato. E volgendo uno sguardo sospettoso ai pomposi e sapienti signori che frequentavano il salotto della casa paterna, ne valuterà non solamente la modesta caratura intellettuale ma soprattutto la ristrettezza di vedute: la colpa più grave per chi, come Virginia, vivrà la vita con grande profondità di sentimenti.

La perdita della madre e della sorellastra Stella porteranno Virginia su un sentiero tortuoso caratterizzato da crisi psichiche e debolezze dell’anima che la sua ragione non perdonerà facilmente. In seguito, le violenze subite dal fratellastro George rappresenteranno il vero fardello psicologico che l’autrice porterà sulle sue spalle per tutta la vita. Nonostante questo si presenterà sempre come una donna socievole, amante della buona compagnia e pronta al dibattito, animatrice perfino del Bloomsbury Group, un eterogeneo collettivo di giovani intellettuali londinesi tra i quali parteciperà Leonard Woolf che Virginia sposerà nel 1912 prendendone il cognome.

Saranno questi anni di intensa scrittura durante i quali la Woolf si dedicherà dapprima al giornalismo cimentandosi, successivamente, nella narrativa e nella saggistica passando alla storia come la madre dello “stream of consciousness” (flusso di coscienza) magistralmente sviluppato in opere come “La signora Dalloway” del 1925 e “Gita al faro” del 1927.
Le impressioni, i piccoli movimenti o gesti, gli sguardi e qualsiasi piccolo aspetto dell’esistenza: sarà questa la base della poetica di Virginia Woolf che traghetterà il lettore dal mondo esteriore a quello interiore.
Il destino, con lei, sarà senza alcun dubbio poco generoso, tuttavia le regalerà il conforto di due grandi amori che la accompagneranno fino alla fine: Leonard, fedele compagno nella gioia e nel dolore, e Vita Sackville-West alla quale Virginia si ispirerà per la sua opera più visionaria, Orlando del 1928.
Morendo da suicida nel marzo del 1941, Virginia lascia al mondo opere non ancora apprezzate che saranno riscoperte solamente negli anni Settanta dalla critica femminista. Esse rappresenteranno lo spirito del cambiamento, riflessioni sulla donna e sui suoi diritti in termini tutt’ora attuali.

Persona profonda quanto sofferente. Autrice complessa quanto lungimirante. Donna piena di emblematiche sfaccettature nutrita dal profondo senso della rivalsa. Semplice essere umano troppo fragile nei confronti di un passato mai realmente dimenticato che, inesorabilmente, finirà per schiacciarla.
Virginia Woolf, in tutta la sua dimensione umana e letteraria, resterà sempre un punto fermo della letteratura mondiale.